Per una fortunata coincidenza venerdì 21 ottobre giorno in cui la Chiesa palermitana ha ricordato la memoria religiosa del Beato Pino Puglisi, è uscito un agile volumetto del teologo don Massimo Naro, docente della facoltà teologica di Sicilia e presidente del Centro Studi Cammarata di San Cataldo (Cl), dal significativo titolo: ”Contro i ladri di speranza. Come la Chiesa resiste alle mafie” che può essere annoverato come una delle tante testimonianze di lotta alla mafia frutto del sacrificio del parroco di Brancaccio.

In sole 70 pagine il teologo sancataldese riesce ad andare bel oltre l’elencazione delle iniziative e dei documenti contro la mafia succedutisi nei 23 anni che ci separano dalla morte di Puglisi e a dare l’immagine di una Chiesa alla riscoperta del senso di quel martirio e dei frutti che esso ha generato e continua a generare.

Come affermò il compianto Arcivescovo di Monreale Cataldo Naro nel 2002 il martirio evidenzia “una carenza della Chiesa, un suo limite sul piano della testimonianza cristiana” ma al tempo stesso “rende anche evidente quello che già esiste”. Ed aggiunse: “Non ci può essere un martirio senza che ci sia un retroterra, un ambiente che lo esprime, una realtà che è stata capace di prestarsi a questo dono dello Spirito del Signore Risorto”.

Massimo Naro non si sottrae alla individuazione delle “carenze”, come le chiamò suo fratello, ma piuttosto che aggiungere altri punti alla lunga elencazione di mancanze e inadempienze che secondo tantissimi storici la Chiesa ha accumulato a partire almeno dall’Unità d’Italia, afferma con decisione che “la mafia è un problema che tocca effettivamente la Chiesa, la sua consistenza storica e la sua presenza sociale” facendone nei fatti “un problema ecclesiale”, come recita il primo capitolo.

Al termine carenze, o a quello che nel linguaggio usuale lo ha sostituito, “silenzi”, Naro preferisce sostituire quello di “linguaggio”, iniziando con lo smontare giudizi ormai consolidati sulla incapacità della Chiesa alla condanna del fenomeno mafioso. Così alla accusa di un presunto fallimento dell’evangelizzazione post unitaria del meridione contrappone una scarsa considerazione storiografica “della storia di santità ‘sociale’ fiorita tra Otto e Novecento” e del “fenomeno del movimento cattolico, citando non solo don Luigi Sturzo, ma anche una mirabile pagina della Evangelii gaudium (n.68), in cui si evidenzia l’importanza decisiva che riveste “una cultura segnata dalla fede, perché questa cultura evangelizzata, al di là dei suoi limiti, ha molte più risorse di una semplice somma di credenti posti dinanzi agli attacchi del secolarismo attuale”.

Quanto poi alla ricorrente obiezione secondo la quale questo silenzio della Chiesa sia frutto della ostilità maturata di fronte al processo di unificazione, Naro evidenzia che da questo “antistatalismo…la Chiesa si desta e si smarca pubblicamente solo negli anni delle stragi e degli omicidi eccellenti”, citando a tal proposito il documento della Commissione Ecclesiale Giustizia e Pace della CEI, del 1991, dal significativo titolo Educare alla legalità, al n. 10.
Molto interessante a tal proposito il suo affondo sul “cristianesimo municipale” quello “entro i cui ristretti confini il clero rimaneva impastoiato in parentele, anche in quelle scomode e negative, dalle quali era difficile prendere le distanze”. Dall’affronto di questo tema emerge quello del linguaggio già anticipato e molto caro al suo compianto fratello Cataldo. Ripercorrendone velocemente il pensiero afferma che con l’intervento di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi, questo tema è divenuto patrimonio indiscusso e indiscutibile di tutta la Chiesa. “E’ proprio il grido di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi che inaugura un linguaggio peculiare ‘ecclesiale’, in cui assumono il giusto timbro … parole importanti come peccato, giudizio divino, giustizia, diritti di Dio, conversione, martirio, santità, a cui Benedetto XVI ha aggiunto fiducia in Dio e cura dell’altro, e papa Francesco aggiunge asservimento al male, inferno, scomunica (intesa come rottura della comunione con Dio) idolatria del denaro, potere insanguinato, schiavitù, corruzione, responsabilità, compagnia di Cristo, mitezza, speranza, misericordia, adorazione e primato di Dio”.

Questa impostazione così radicale della Chiesa costituisce una svolta rispetto al dibattito più tradizionale e consente di individuare nel magistero – che opportunamente definisce “itinerante” – lo strumento decisivo che le è proprio per affermare l’importanza di una lotta alla mafia che diviene così non una responsabilità civile, ma un impegno della testimonianza che deriva direttamente dalla fede in Gesù Cristo.

Non a caso definisce questo magistero come una “pluralità di interventi e di pronunciamenti (ma parlerei anche di gesti e di azioni) magari più spiccatamente colloquiali e meno esplicitamente dottrinali rispetto alle encicliche, ma che sono comunque sostenuti dalla medesima intenzione pastorale”. E aggiunge poi che al magistero pontificio va aggiunto quello “episcopale”, citando a tal proposito alcune autorevolissime espressioni di pastori meridionali e di Conferenze Episcopali regionali.

Per fugare ogni dubbio su una presunta impostazione teorica o meramente dialettica le pagine finali sono dedicate alla spiegazione di ciò che definisce “nuovo umanesimo mediterraneo”. “Scegliere l’umano – scrive Naro a pag. 56 – significa opporsi alle mafie. E questa opzione in favore dell’umano (dell’umano compiuto, potremmo aggiungere: l’umano cioè non piegato su di sé, non preoccupato solo di sé, ma aperto all’Altro e agli altri) serve a qualificare, da Agrigento in poi, la resistenza cristiana alle mafie”.

L’ultima tappa di questo breve e significativo cammino viene definita dall’autore “La paradossale resistenza cristiana”. Paradossale secondo la logica umana perché essa è “innanzitutto resa e consegna a Dio”. “L’appello alla conversione – spiega – pur rivolto ai mafiosi, non può risultare credibile e perciò non può essere da loro recepito e accolto se non è testimonianza di conversione personale e comunitaria”.

Il testo è arricchito, com’è nello stile dell’autore, da molte note e tante citazioni che rimandano il lettore ad un necessario approfondimento per andare alla radice sia del fenomeno mafioso, come atteggiamento e tentazione umana, sia alla radice della sua lotta, necessaria non appena per una migliore e più sana convivenza sociale, ma per affermare un nuovo umanesimo in grado di contrastare il male in ogni sua manifestazione e affermare un bene che sia per tutti gli uomini sempre.

Il libro sarà presentato questa sera alle ore 18 alla Libreria Paoline di via Vittorio Emanuele: introdurrà Fernanda Di Monte, giornalista e responsabile eventi della libreria Paoline. Interverranno: Salvatore Taormina, dirigente dell’Assessorato Regionale all’Economia, Giovanbattista Tona, magistrato presso il Tribunale di Caltanissetta. Modererà la giornalista Alessandra Turrisi. Le conclusioni saranno affidate a Pier Luigi Cabri, direttore delle Edizioni Dehoniane Bologna.