“Dalle più recenti acquisizioni info-investigative, il territorio della provincia palermitana risulta suddiviso in 15 mandamenti (8 in città e 7 in provincia), composti da 80 famiglie (32 in città e 48 in provincia). Cosa nostra palermitana permane in uno stato di rimodulazione degli assetti e dei luoghi di influenza.

La suddivisione dei mandamenti non è più rigidamente osservata, ma talvolta surrogata da un sistema di referenze territoriali, con compiti di gestione complessiva delle attività criminali di maggiore importanza, e da un ampliamento della competenza d’area delle famiglie operativamente più attive”.

E’ quanto si legge nella relazione della Dia sull’attività svolta nel secondo semestre del 2016. “I confini e le norme circa la competenza su ciascuna area sono interpretate in maniera più flessibile rispetto al passato, comportando anche sconfinamenti, indebite ingerenze, candidature autopromosse, progetti di scissione.

Nel contesto delineato, l’organizzazione si sforza di conservare una struttura unitaria e verticistica, sebbene l’aver concesso a famiglie (e mandamenti) una maggiore autonomia abbia indotto, alcuni giovani boss e varie articolazioni territoriali, all’assunzione di decisioni talvolta non condivise”.

“Sotto il profilo della leadership, l’ormai ottantaseienne boss corleonese continuerebbe ad essere alla guida di cosa nostra a conferma dello stato di crisi di un’organizzazione incapace di esprimere una nuova figura in sostituzione di un’ingombrante icona simbolica, detenuta dal gennaio 1993 e sottoposta a speciale regime carcerario – mentre la Commissione provinciale, atteso lo stato di detenzione di quasi tutti i suoi componenti, risulta impossibilitata a riunirsi”.

Lo si legge nella relazione semestrale della Dia.

“La  Cupola palermitana spendeva la sua influente autorevolezza nell’intero comprensorio della Sicilia Occidentale e, in genere, costituiva punto di riferimento anche per le decisioni strategiche attinenti alla rimanente parte dell’Isola.

In mancanza di un organismo decisionale, idoneo a dare risposte urgenti in una fase di emergenza, cosa nostra avrebbe riconosciuto legittimità ad agire ad un organismo collegiale provvisorio, costituito dai più influenti capi mandamento della città, delegati ad esprimere, in via d’urgenza, una linea comune ed ad interpretare unitariamente gli interessi dell’organizzazione, strumentali alla realizzazione di profitti economici, nel rispetto dell’autonomia operativa delle famiglie pur in esso rappresentate.

Questo organismo assolverebbe a funzioni di consultazione e raccordo strategico fra i mandamenti palermitani – prosegue la relazione – Si tratterebbe di una cupola anomala, che non coinvolge l’intera organizzazione e alla quale prenderebbero parte reggenti scarcerati per fine pena o figli d’arte, che non sempre godono di unanime riconoscimento.

Una “stanza di compensazione” nella quale sanare momenti conflittuali suscettibili di degenerare. L’organizzazione mafiosa si troverebbe ormai da tempo ad attraversare una fase di transizione.

Le famiglie che hanno affidato il controllo del territorio ad elementi impulsivi e talvolta spregiudicati, incapaci di calcolare le conseguenze delle loro decisioni, lontani dallo stereotipo di cosa nostra, devono ora fare ricorso ai consigli di anziani e uomini d’onore chiamati a sopperire, con il loro carisma, a giovani reggenti inadeguati Una volta scarcerati, i boss riprenderebbero, infatti, esattamente il loro posto, dedicandosi alla riqualificazione e rior­ganizzazione delle loro famiglie, decimate da arresti e pesanti condanne”.

Le risultanze investigative continuano ad evidenziare forti fibrillazioni e contrapposizioni interne ai mandamenti. Ciò emerge palesemente nell’operazione “Grande Passo 4”, in relazione al mandamento di Corleone, e nell’operazione “Monte Reale” relativamente al mandamento di San Giuseppe Jato.

Come accennato nell’analisi generale del fenomeno cosa nostra, le tensioni interne sempre più ricorrenti, percepite in tempo, non sono sfociate in nuove faide solo per il tempestivo intervento della Magistratura e delle Forze dell’ordine.

Le attività investigative delineano il quadro di un fenomeno criminale certamente colpito dall’incessante opera di contrasto da parte dello Stato, ma ancora con una notevole potenzialità offensiva, pur continuando a perseguire una politica di basso profilo e mimetizzazione.

In linea tendenziale, cosa nostra palermitana appare muoversi su due direttrici:
– quella geo-referenziata, ricercando sempre il controllo del territorio, uno dei punti di forza irrinunciabili per vivere e perpetuarsi, con la necessità di apparire nelle aree storicamente asservite al potere mafioso;

– quella affaristica in ambienti affaristico-finanziari e in aree nazionali e internazionali per riciclare i capitali illeciti, catalizzare sovvenzioni pubbliche e indirizzare appalti e scelte industriali