Un mistero lungo quasi 50 anni. Un’opera mai ritrovata e sulla cui ‘fine’ aleggiano storie e leggende che nessuno potrà forse mai chiarire.
Nella notte tra il 17 ed il 18 ottobre del 1969 a Palermo pioveva a dirotto. Negli spazi attigui all’Oratorio di San Lorenzo, in via Immacolatella, in pieno centro, le due anziane custodi del luogo dormivano.
Si accorsero solo al risveglio che qualcuno aveva rubato la preziosa tela del Caravaggio “La Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi” realizzata nel 1609.
La “Natività”, il cui valore di mercato si aggirerebbe oggi intorno ai 30 milioni di euro, è inserita nella lista dei dieci capolavori più ricercati dalle polizie di tutto il mondo.
A quel Caravaggio mai più ritrovato il regista Roberto Andò ha deciso di dedicare una pellicola. Alla Mostra del Cinema di Venezia il 7 settembre sarà proiettato fuori concorso il film “Una storia senza nome” che uscirà nelle sale il 20 dello stesso mese. Valeria (Micaela Ramazzotti), giovane segretaria di un produttore cinematografico, vive sullo stesso pianerottolo della madre, Amalia, donna eccentrica e nevrotica (Laura Morante), e scrive in incognito per uno sceneggiatore di successo, Alessandro (Alessandro Gassmann). Un giorno, Valeria riceve in regalo da uno sconosciuto, un poliziotto in pensione (Renato Carpentieri), la trama di un film. Ma quel plot è pericoloso. Da quel momento, la sceneggiatrice si troverà immersa in un meccanismo implacabile e rocambolesco.
“’Una storia senza nome’ è un film sul cinema, un atto di fede, ironico e paradossale, sulle sue capacità di investigare la realtà e di trascenderla. Si è sempre sostenuto che l’immaginazione – spiega Andò a Buttanissima Sicilia -, anche la più potente e visionaria, paghi il prezzo di una impotenza a priori: l’impossibilità di provocare effetti reali. Il mio film, in modo giocoso, e mi auguro divertente, mostra il contrario. Mi faceva piacere, in un momento in cui il cinema appare più fragile e marginale, raccontare una storia al cui centro ci fosse un film e il suo misterioso, imprescindibile, legame con la realtà. Con Angelo Pasquini e Giacomo Bendotti abbiamo scelto una vicenda leggendaria degli annali criminali italiani, il furto della Natività di Caravaggio, avvenuto a Palermo nel 1969, un tempo in cui la città era preda del crimine organizzato, cioè della mafia, e anche della più completa indifferenza civile. Quell’anno i ladri prelevarono il quadro dallo splendido Oratorio di San Lorenzo, scolpito dal grande scultore Giacomo Serpotta, e in una notte di pioggia lo portarono via con un’Ape- aggiunge -. Molti anni dopo, il pentito Francesco Marino Mannoia rivelò che si era trattato del primo furto su commissione eseguito dalla mafia. Raccontò anche di come la tela, al momento d’essere srotolata davanti al misterioso committente, si fosse sbriciolata in mille, minuscoli, frammenti. In seguito, altre deposizioni di pentiti contraddissero o amplificarono questa versione, sino a quando i mafiosi, poco prima degli attentati che colpirono Firenze, offrirono allo Stato la restituzione del quadro in cambio di un ritocco sostanziale del 41 bis. La strage dei Georgofili spazzò via, in modo definitivo, quell’assurda trattativa. Se custodire e tramandare la bellezza è la forma più elementare di civiltà, questo grado minimo in Italia è sempre stato a rischio. La nostra storia civile, densa di crimini e oscurità, offre infatti una cronaca mutilata di cui solo un atto fantastico può restituirci il senso. Ecco, il mio film è un atto fantastico. Un capolavoro rubato e dato in pasto ai porci, come riferirono altri pentiti, è infatti un racconto perfettamente aderente ai nostri trascorsi, un ottimo pretesto per un narratore che voglia creare una miscela tra fatti reali e fatti immaginati. Ora che il film è sul punto di uscire – conclude il regista – si annunziano nuovi sviluppi delle indagini, e si ipotizza che il quadro, dopo essere stato rubato da ladri comuni, fosse stato consegnato alla mafia, che, dopo averlo tagliato a pezzi, lo avrebbe venduto a un mercante svizzero”.
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