Viene presentato oggi il libro “Se offrirai il tuo pane all’affamato…”, scritto dal giornalista Giorgi Paolucci per ricordarne i 25 anni di attività del Banco alimentare. In quella occasione papa Francesco concesse una udienza ai volontari del Banco alimentare il 3 ottobre del 2015. Alla presentazione, oltre all’Arcivescovo Corrado Lorefice, l’autore del libro Giorgio Paolucci presente anche il prof. Giuseppe Notarstefano, dell’Università di Palermo.

L’iniziativa è promossa dalla Banco alimentare di Palermo e dal Centro Culturale “Il Sentiero”.

Professor Notarstefano, come definirebbe questo libro: il racconto di una esperienza, un libro di testimonianze, di denuncia, di auto celebrazione?
“Già dalle prime pagine mi pare che emerga con forza la necessità di raccontare, direi perfino di testimoniare, un’esperienza di cui l’autore non è soltanto un sagace e puntuale narratore, ma un attore coinvolto e partecipe, attento a proporre una chiave di lettura sulla realtà, mai compiaciuta o idilliaca”.

Cosa l’ha colpito di più nella sua lettura?
“Il bisogno di dare voce alle persone, alle diverse esperienze che, nella vicenda del Banco Alimentare, hanno costruito passo dopo passo una storia tessuta nella gratuità e nella creatività, ma anche nella desiderio di costruire percorsi di condivisione e di comune responsabilità… un’esperienza politica nel senso più profondo ed autentico”.

Come giudica l’esperienza del Banco Alimentare in Italia in questi 25 anni? Quanto ha contribuito e contribuisce a combattere il bisogno alimentare che ancora esiste?
“Il tema della povertà alimentare è una questione che esiste da molto tempo e certamente la crisi economica di questi ultimi anni ha acuito e reso perfino più drammatica una simile espressione della vulnerabilità sociale. L’esperienza del Banco risponde a tali urgenze cercando percorsi di attivazione sociale che, scommettendo sulle relazioni, sulla sussidiarietà circolare e sulla coscienza civica, promuovono risposte nella logica della corresponsabilità. Una via faticosa, ma certamente la più capace nel lungo periodo di accumulare il capitale civico di una società”.

Lei è un economista. Come spiega il permanere nella nostra società di due fenomeni così contrastanti: lo spreco alimentare e il bisogno di alimenti?
“Viviamo un tempo in cui la crescente globalizzazione del mondo nella sua pretesa di unificare i sistemi istituzionali e i mercati, non solo non riduce, ma aumenta le differenze e le disuguaglianze ad ogni livello. Da ciò derivano le contraddizioni che lei stigmatizza”.

Lo speco si può combattere solo in termini etici o è possibile avviare anche processi virtuosi, magari con interventi legislativi o con il sostegno delle associazioni di cittadini?
“La coscienza civile certo può essere aiutata da una legislazione intelligente e lungimirante, ma è il fattore educativo ad essere soprattutto rilevante”.

Cosa indicano gli ultimi dati sulla povertà delle famiglie siciliane? Vi è una condizione di diversità nella povertà tra le nostre famiglie e quelle gli immigrati?
“La lettura dei dati statistici ufficiali sulla povertà è un peana di cifre allarmanti e, particolarmente per la nostra regione, i dati sono preoccupanti e non da ora. Povertà e immigrazione sono spesso connesse nelle grandi realtà urbane così come la spirale della povertà coinvolge le diverse dimensioni. Difficile fare una tassonomia delle gravità. Ritengo che la questione chiave sia la sfida dell’inclusione che passa attraverso il lavoro e la pienezza dei diritti costituzionali di partecipazione alla vita democratica”.

Dal suo punto di osservazione di economista ci spiega perché appena c’è una crisi economica tutte le istituzioni, tagliano sul welfare piuttosto che su altre uscite?
“I tagli sono l’esito di un processo di revisione e razionalizzazione della spesa pubblica sostanzialmente “commissionato” dai mercati (o meglio dalle oligarchie finanziarie internazionali) ai paesi che negli ultimi anni non erano riusciti a fare un processo di riforme dei propri sistemi di protezione sociale e del mercato del lavoro. Il discorso è forse più complesso: a mio parere, si stratta di un esito generato da diversi fattori: le nuove regole della finanza pubblica comunitaria, la debolezza delle leadership dei paese euromediterranei, un debito pubblico elevato, alimentato da una pesa pubblica improduttiva, e un sistema di welfare non sempre capace di scommettere sul protagonismo della società e del terzo settore”.

La risorsa più forte delle associazioni di welfare è la costituzione della rete e la conseguente gestione in rete dei servizi. Perché quando c’è crisi, come adesso, anche questo principio di buona amministrazione fa fatica ad affermarsi?
“È un effetto “exit strategy” che acutizza le reazioni individuali. E’ chiaro come sia soprattutto responsabilità della politica attivare percorsi di programmazione e di coordinamento convincenti”.

Veniamo al Banco Alimentare di casa nostra. Nel 2003 ottenne un contributo regionale che gli permise di creare una rete di servizi su tutto il territorio siciliano. Nel corso degli anni questo contributo è via via diminuito e non sempre è giunto con puntualità. Perché l’istituzione regionale, a suo avviso, non comprende il valore dell’effetto moltiplicatore che i finanziamenti pubblici rendono alle associazioni di welfare?
“Questa domanda dovrebbe essere rivolta ai responsabili del governo regionale. Mi sento solamente di dire che ho la sensazione che si stia navigando a vista in questi ultimi mesi, e non solo nell’affrontare i temi sociali. Manca un progetto, una visione; ma è anche colpa dei cittadini che dovrebbero chiedere rigorose ed affidabili valutazioni e monitoraggi delle politiche pubbliche, non limitandosi ad un approccio ingenuamente ideologico a questioni complesse che richiedono approfondimento rigoroso e discussione paziente. Deve crescere una cultura della rendicontazione sociale e della valutazione”.