Sono state le compagne di classe e un’insegnante di una scuola di Palermo a spingere la ragazzina di 15 anni violentata da tre giovani di 19 anni a raccontare tutto ai carabinieri.

Prima che ai genitori, la vittima è riuscita a trovare il coraggio di confidarsi con le sue compagne di classe rivelando l’incubo in cui era caduta.

La studentessa, insieme ai genitori e all’insegnante, si è presentata dai carabinieri della compagnia di San Lorenzo. Ha rivissuto l’inferno in cui era piombata lo scorso novembre quando si era fidanzata con uno studente del quinto anno. Il giovane con insistenza le avrebbe chiesto una foto con addosso solo l’intimo. Lei si è rifiutata. Lui ha continuato ad insistere e alla fine lei ha ceduto.

Una volta inviate le immagini sono iniziati i ricatti via chat. Tutto materiale finito nelle indagini insieme alle foto. Lo studente le ha chiesto un rapporto sessuale. Se non avesse acconsentito la sua foto sarebbe stata condivisa sui social. La giovanissima vittima, sarebbe stata costretta ad avere rapporti prima in un parcheggio nella zona di Corso Calatafimi poi tra i viali dell’ex manicomio di via Gaetano La Loggia.

Al secondo appuntamento sarebbero stati in tre a turno a violentarla. Il suo presunto aguzzino avrebbe chiamato altri due compagni dello stesso istituto anche loro di 19 anni. I carabinieri dopo le indagini coordinate dal procuratore aggiunto Annamaria Picozzi, dai sostituti Giorgia Righi e Sergio Mistritta, i pubblici ministeri del gruppo che si occupa dei reati che colpiscono le fasce deboli, sono andati a casa dei tre e li hanno arrestati. Hanno notificato loro un’ordinanza di custodia ai domiciliari firmata dal gip.

Gli studenti, accusati di violenza sessuale, nel corso dell’interrogatorio si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Non hanno detto nulla sulla vicenda. Gli indagati appartengono, come hanno accertato gli investigatori, a famiglie di impiegati che non hanno mai avuto precedenti con la giustizia. Le cosiddette famiglie “normali”.

“E’ stata fondamentale la denuncia – dice spiega il capitano Andrea Senes che ha condotto le indagini -. La difficoltà per la vittima sta nel senso di vergogna, di ansia e di paura che si ingenera quando si subisce questo tipo di ricatto e questo tipo di violenze, perché si ha paura del giudizio. Sicuramente le forze dell’ordine e noi carabinieri in primis non abbiamo un approccio giudicante noi siamo qui per aiutare chi si trova in queste situazioni e denunciare serve a prevenire per rifuggire a questo tipo di fenomeni e di dinamiche”.

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