• La polizia di Ragusa ha portato a termine l’operazione Family Business sulla tratta di essere umani e prostituzione
  • Nella rete degli agenti della Squadra mobile sono finite 4 persone, tutte nigeriane
  • La cellula nigeriana operava a Brescia

Gli agenti della Squadra mobile di Ragusa hanno eseguito 4 misure cautelari nei confronti di altrettante persone, finite nell’operazione Family Business, originarie della Nigeria accusate di tratta di esseri umani per lo sfruttamento sessuale, “delitti pluriaggravati dall’aver agito in danno di minori”. E’ stato il gip del Tribunale di Catania ad emettere i provvedimenti restrittivi, richiesti dai magistrati della Dda di Catania, nei confronti di D.O.M., D.E, B.F., O.L., che avrebbero agito insieme ad altri complici libici e nigeriani ma non ancora identificati.

Le indagini

L’inchiesta è stata aperta il 15 aprile del 2017 dopo le dichiarazioni di una minorenne nigeriana approdata insieme ad altri migranti nel porto di Pozzallo. La giovane ha raccontato la sua drammatica storia, iniziata nel suo paese dopo che un’amica di famiglia avrebbe proposto il trasferimento in Italia per trovare un lavoro e sfamare così i suoi parenti. Si sarebbe sottoposta al cosiddetto rito Ju-Ju, una sorta di patto indissolubile, per cui si la giovane, una volta arrivata a destinazione, si sarebbe impegnata a pagare 30 mila euro. Sarebbe stata accompagnata dai fratelli della mediatrice ma durante quel drammatico viaggio sarebbero morte due ragazze, anch’esse finite sotto il tacco dell’organizzazione criminale. Arrivata a Pozzallo, la minore si è rifiutata di rispettare quell’accordo, decidendo di raccontare tutto alla polizia.

La cellula bresciana

Il quartier generale dell’organizzazione era a Brescia dove è presente la cellula nigeriana che gestiva l’attività di prostituzione delle giovani donne provenienti dal loro paese.  I sodali, sotto la direzione di D.O.M. provvedevano a trovare un alloggio alle prostitute, dove era presente almeno uno dei componenti della gang,  in modo da esercitare un controllo più capillare e sottrarre subito i guadagni alle ragazze.

La minaccia voodoo

Per le giovani che protestavano veniva commissionata in Nigeria ad un voodoolista la celebrazione del “rito del ciclo”  che avrebbe comportato per la vittima un ciclo mestruale perenne, senza fine e quindi tale da renderla inavvicinabile e indurne la morte.

Una donna a capo della gang

Il gruppo risultava diretto da una donna nigeriana, D.O.M, coniugata con un cittadino italiano, che si avvaleva della stabile collaborazione della sorella e dei fratelli, anch’essi residenti in Italia, nonché di altri congiunti operanti in Nigeria. C’era un’altra donna nigeriana nella piramide della gang:  B.F. che, giunta in Italia come vittima di tratta, non appena ultimato il pagamento del debito di ingaggio, si era trasformata a sua volta in madame ed aveva reclutato e fatto arrivare in Italia una  vittima, chiedendo aiuto e consiglio a D.O.M.