Nel mondo il colore della pelle umana si distribuisce su una tavolozza dalle innumerevoli sfumature: per arrivare a ciò sono servite decine di migliaia di anni. Ma anche se i colori sono diversi, la storia evolutiva dalla quale hanno origine è la stessa. Anticamente infatti, il colore della pelle era lo stesso per tutti, poi l’evoluzione e la diversa esposizione ai raggi solari hanno cambiato i pigmenti dei vari popoli.

 

Ominidi come l’Australopiteco Lucy avevano la pelle ricoperta da una fitta peluria. Quando l’uomo prese a cacciare con andatura eretta negli spazi aperti e assolati della savana, si liberò dei peli in eccesso per facilitare la sudorazione e la dispersione del calore. Considerato che i raggi UV dannosi distruggono i folati, vitamine che servono a produrre nuove cellule, l’uomo aveva la necessità di creare uno “scudo” per proteggerli e con una produzione maggiore di melanina il problema è stato risolto. Ecco perché nelle aree molto calde e assolate la selezione naturale ha favorito una carnagione scura.

 

Con il tempo, l’uomo si spostò verso nord e verso sud, in luoghi più vicini ai poli, dove il problema principale non era contrastare i raggi UV dannosi, ma produrre abbastanza vitamina D, essenziale per la salute delle ossa, nonostante la poca esposizione solare: bisognava permettere che una certa quantità di raggi solari fosse assorbita dalla pelle, riducendo la melanina. Per questo nelle regioni più settentrionali la pelle più chiara.

 

Grazie a questi processi le popolazioni hanno sviluppato diversi colori della pelle. Una differenza solo superficiale e nata dalle esigenze di adattamento. Chi si ferma a livello dell’apparenza e pensa che questa possa essere usata come motivo di discriminazione, è semplicemente razzista.