Prima del trasferimento al Mart di Rovereto e del successivo ritorno a Siracusa, nella sua casa originaria, la Basilica di Santa Lucia, si era discusso sulle condizioni di sicurezza per proteggere la tela del Caravaggio (Il Seppellimento di Santa Lucia).

Tra le proposte che sembravano avere una certa fondatezza, c’era quella di realizzare una teca, allo scopo di blindare l’opera d’arte, per ripararla dall’umidità e dalla polvere. Con grande sorpresa, non ce ne sarà bisogno e le ragioni le ha spiegate l’assessore alla Cultura di Siracusa, Fabio Granata.

“L’Istituto centrale del restauro, dopo aver  monitorato strumentalmente il livello di umidità nella chiesa e avendolo ritenuto soddisfacente, si è espresso contro la teca anche per la difficoltà che crea al godimento dell’opera” dice Granata.

La tela, dunque, è tornata a casa ma perché la Basilica di Santa Lucia è la sede naturale dell’opera del Caravaggio? A rispondere è il professore di storia dell’arte, Paolo Giansiracusa, tra il leader del Fronte del No, il comitato, composto da diverse associazioni tra cui Dracma, presieduta da Giovanni Di Lorenzo, e Italia Nostra, contrario, fin dal primo momento, al prestito della tela.

“Nel mese di dicembre del 1608, quattrocentododici anni fa, come in questo periodo, Michelangelo da Caravaggio consegnava al Senato Cittadino il dipinto che, grazie alla missione di Vincenzo Mirabella, gli era stato commissionato circa due mesi prima. L’opera – spiega il professore Paolo Giansiracusa – fu fortemente voluta dal massimo consesso civico e, alfine di onorare il luogo della sepoltura di Santa Lucia, fu sistemata sull’altare principale della Basilica adiacente al Sepolcro. Il luogo chiesastico si configurava allora come Cappella Regia direttamente gestita dall’Amministrazione Civica. Solo nel 1618, d’intesa col Vescovo Giovanni Torres, per le funzioni religiose, si affidò la chiesa ai PP. Riformati guidati dal Venerabile Frate Innocenzo da Chiusa”.

“Tale passaggio legale fu trascurato – dice il professore Paolo Giansiracusa – dalle Leggi di Soppressione degli Ordini Religiosi (1866-67) che, con fare garibaldino, sequestrarono ogni cosa. Il Caravaggio aveva dipinto gli oltre 12 metri quadrati di tela nella stessa chiesa, accanto all’altare, per ambientarla in armonia con la luce e in sintonia alle ragioni della fede. Creò la nostra sindone, con la sua impronta drammatica e l’ultima immagine terrena di Lucia, nell’attesa che la Città potesse riavere le spoglie dalla Repubblica di Venezia. Dopo varie vicissitudini e dopo le collocazioni provvisorie, nella Galleria di Palazzo Bellomo e nel vano presbiterale della Badia, la nostra maggiore icona, opera di fede prima ancora che d’arte, ritorna nel suo luogo deputato, accanto alla colonna del martirio, a pochi metri dal sepolcro, in quella stessa luce autunnale che tanto aveva ispirato il Merisi”.