Per insegnare in una scuola aveva dichiarato di possedere l’abilitazione all’insegnamento della matematica. Titolo che come accertato dall’ufficio scolastico regionale non aveva ottenuto visto che dopo aver superato gli scritti era stata bocciata agli orali. I giudici della Corte dei Conti d’appello presieduti da Giuseppe Aloisio hanno condannato Francesca Aiello di Siracusa a restituire allo Stato 67 mila euro per arricchimento doloso.

Cosa dice la sentenza

“La falsità ideologica dell’autocertificazione prodotta dalla dottoressa Aiello è fuori discussione, – si legge nella sentenza – atteso che la mancanza del titolo abilitativo è stata accertata dall’Ufficio Scolastico Regionale, rilevata dal pubblico ministero penale, nonostante la richiesta di archiviazione, nonché riconosciuta dalla stessa Aiello che, come si legge nella sentenza di primo grado, “ha ammesso di non aver mai superato la prova orale del concorso per l’abilitazione”.

Abilitazione non posseduta

Il mancato possesso dell’abilitazione per la classe di concorso A048, infine, è stato correttamente riconosciuto dallo stesso atto di appello abilitazione per la classe di concorso A048 (…) invero non posseduta dalla docente”. Secondo i giudici contabili va confermata la sentenza di primo grado “L’elemento psicologico del dolo deve ravvisarsi nella cosciente e voluta predisposizione ed utilizzazione di autodichiarazioni attestanti una circostanza falsa”, mentre appare inverosimile l’affermazione dell’appellante secondo la quale “molti esponenti di piccoli sindacati si recavano presso le scuole private (come quella ove nell’anno 2004 lavorava la dottoressa Aiello) offrendosi di realizzare la compilazione della modulistica a fronte del versamento di una quota d’adesione sindacale.

Domanda compilata da terzi e sottoscritta

Così, la professoressa Aiello ha visto la propria domanda compilata da terzi e l’ha unicamente sottoscritta, seppur con leggerezza”. Ma la compilazione della domanda con “leggerezza” nulla a che a fare “con le formalità successive (presentazione della domanda, produzione di documentazione, stipulazione del contratto di lavoro, immissione in servizio, svolgimento delle funzioni) – continuano i giudici – ed è impensabile che tutti questi passaggi siano stati messi in atto senza piena consapevolezza e volontarietà da parte dell’insegnante. A ciò si aggiunga che alcune informazioni dettagliate contenute dall’istanza di inserimento in graduatoria non potevano essere conosciute da un non meglio identificato compilatore, diverso dalla diretta interessata. La sussistenza di un arricchimento doloso, oltre a rendere inammissibile l’istanza di rito abbreviato, sia in primo che in secondo grado, esclude, altresì, l’applicazione del potere riduttivo”.

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