• Le intercettazioni telefoniche hanno svelato la corruzione dell’agente penitenziario
  • Bastavano 700 euro per fare entrare i pacchi in carcere
  • Uno smartphone costava 400 euro
  • Gli incassi del gruppo finivano in una scheda prepagata

“Gli deve dire di portare i 700 euro; che l’uomo a cui deve portare i soldi arriva con una Jeep o con un Liberty e che ha la “tigna”.

Le intercettazioni

E’ uno stralcio di una conversazione telefonica tra Dario Giuseppe Muntone, 36 anni, e la compagna, Rosaria Buda, in merito al prezzo da corrispondere all’agente di polizia penitenziaria, Michele Pedone, 51 anni, per introdurre in carcere il pacco con i telefonini. Tutti e tre sono finiti, insieme ad altre 13 persone nell’inchiesta della Guardia di finanza denominata Prison Dealer su un traffico di droga ed un commercio di telefonini nella casa circondariale di Augusta.

Lo sbirro

Pedone, secondo quanto emerge nelle conversazioni intercettate dalla Finanza, era chiamato lo sbirro da Muntone che, dalla sua cella del penitenziario di Augusta, avrebbe parlato con la compagna ed altri familiari.

Il 36enne è indicato dai magistrati della Procura di Catania, che hanno coordinato le indagini, come il capo dell’organizzazione capace di gestire questi affari. E l’agente di Polizia penitenziaria avrebbe avuto il compito di fare entrare i pacchi e capitava che li consegnasse in infermeria.

“Non devi dirmi credo…devo essere sicuro perché devo fissare l’appuntamento con lo sbirro” dice Muntone alla cognata, la sorella della sua compagna, coinvolta nell’inchiesta delle Fiamme gialle. Il detenuto, secondo gli inquirenti, avrebbe sollecitato i complici a dargli tempi certi nella consegna per indicare allo “sbirro” il giorno e l’ora esatta in cui prelevare la merce.

Incontro al bar di Agnone Bagni

Gli inquirenti hanno documento la consegna del pacco all’agente di Polizia penitenziaria che si sarebbe fatto trovare nella piazzuola di un bar, ad Agnone Bagni, a bordo di una macchina “un’autovettura monovolume di colore grigio marca Chrysler con i vetri posteriori oscurati”. A dargli la merce sarebbe stato un familiare del compagna di Dario Giuseppe Muntone.

Le tariffe per i telefonini

I prezzi per la vendita dei telefonini in carcere, gli inquirenti li avrebbero scoperti ascoltando le conversioni tra Muntone ed altri detenuti. In una conversazione, le Fiamme gialle apprendono che Muntone li “vende 200, 250 quando è un amico”  mentre per uno smartphone “chiede 400 curo”.

Gli affari con la droga

C’erano anche le tariffe per la droga. “20 palle da 1,5 grammi sono 20 stecche, significa 1000 euro” conversano Muntone e Fabiano Scattamagna, anche lui tra gli arrestati. I pagamenti a Muntone sarebbero stati eseguiti su una scheda prepagata, nella disponibilità dei familiari di Muntone, dove sarebbero transitate cospicue somme in denaro. Una cassaforte che sarebbe servita per acquistare la droga ed i telefonini, schede comprese a volte intestate a stranieri, da piazzare poi ai detenuti.

Le rivelazioni di un pentito

Le indagini sono state avviate nel 2018, a seguito delle rivelazioni di un pentito, Fabio Lanzafame, un imprenditore vicino, secondo gli inquirenti, al clan Santapaola-Ercolano.

 

 

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