Ha detto che a sparare ed a uccidere Massimiliano Casella, 47 anni, Agatino Saraniti, 19 anni, sarebbero stati Luciano Giammellaro, 70 anni, e suo figlio.

Colpo di scena in aula

E’ stata un vero colpo di scena la testimonianza in aula di Giuseppe Sallemi, 44 anni, imputato nel processo in Corte d’Assise, a Siracusa, per il duplice omicidio del febbraio del 2020 in contrada Xirumi, a Lentini,  insieme a Luciano Giammellaro, 72 anni, entrambi custodi dei fondi agricoli dove si è consumato il delitto.

Le altre dichiarazioni dell’imputato

Il figlio del 72enne non è stato mai indagato dai magistrati della Procura di Siracusa ma dopo l’udienza di stamane, al palazzo di giustizia, è entrato nella vicenda giudiziaria.

Le minacce in carcere

Di certo, queste dichiarazioni dovranno poi essere verificate dagli inquirenti ma nel corso della sua deposizione Giuseppe Sallemi, difeso dagli avvocati Franco Passasini e Ornella Valenti, ha detto dell’altro, anche in questo caso ai danni del coimputato. In sostanza, ha riferito che durante la permanenza in carcere avrebbe ricevuto delle minacce da parte di presunti intermediari di Giammellaro, assistito dall’avvocato Giuseppe Ragazzi, per tapparsi la bocca.

“Ho sparato ma non per uccidere”

L’imputato, nella sua testimonianza, ha anche detto che, nei minuti precedenti all’omicidio, sarebbe stato minacciato dai tre catanesi. A quel punto, con un fucile nella sua disponibilità, preso dalla sua macchina, avrebbe prima esploso un colpo in aria e poi sparato all’indirizzo di Signorelli ma non per ucciderlo. L’omicidio delle due vittime lo avrebbe così imputato all’altro custode ed al figlio, che, evidentemente, seguendo il suo ragionamento, si sarebbe trovato sul posto.

“Non sono stato io ad uccidere”

E’ stato anche ascoltato anche Luciano Giammellaro che ha solo rilasciato una dichiarazione spontanea, sostenendo che non c’entra nulla con il duplice omicidio.

Il testimone chiave

La svolta alle indagini l’ha data Gregorio Signorelli, scampato all’agguato in modo fortunoso che nelle ore successive al delitto, ha ricostruito quei minuti drammatici. “Saremmo potuti scappare – ha detto Signorelli –  ma abbiamo deciso di aspettare” ed “eventualmente sistemare la faccenda”.

Secondo Signorelli, l’auto inseguitrice sarebbe stata un fuoristrada. “Ho visto che il mezzo – ha detto il testimone – era guidato da Giuseppe, quello che mi ha sparato”. “Massimo che era in mia compagnia conosceva Giuseppe ed anche la persona che lo accompagnava  e che rispondeva al nome di Luciano. Ricordo infatti che mentre Giuseppe mi puntava il fucile, Massimo chiedeva all’altro, appellandolo con il nome di Luciano, di dire a Giuseppe di mettere via il fucile. Massimo si è fatto riconoscere da Giuseppe chiedendo disperatamente di abbassare il fucile” ma “Giuseppe rispondeva: m’ha unchiato a minchia. Nun m’anteressa, quindi ha esploso un colpo a distanza di 5 o 6 metri verso di me”.

Parti civili

Sono 14 le parti civili, perlopiù composte dai parenti delle vittime (difesi dagli avvocati Emiliano Bordone, Fabio Presenti, Pierpaolo Montalto, Rossana Scibetta, Emilio Laferrera, Barbara Ronzivalle)  e da Gregorio Signorelli, 37 anni, scampato all’agguato ed assistito dall’avvocato Paola Lopresti.