- La Dda di Catania ha chiesto il rinvio a giudizio per i presunti componenti del clan Aparo di Solarino
- Sono accusati di associazione finalizzata al traffico di droga, usura e tentata estorsione
La Procura distrettuale antimafia di Catania ha chiesto il rinvio a giudizio per 26 persone coinvolte nell’operazione San Paolo, accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e usura, tentata estorsione ed esercizio abusivo dell’attività finanziaria, aggravati dalla finalità di agevolare il clan Aparo nel territorio di Floridia e Solarino. L’operazione fu portata a termine nel luglio dello scorso anno ma altre due persone furono catturate nelle settimane successive, al rientro da Malta
Il boss Aparo
Nell’inchiesta della Procura distrettuale, una delle figure chiave è il boss Antonino Aparo, il capo della cosca omonima che opera tra Floridia e Solarino, legata da una alleanza storica con i Santapaola di Catania. Nel periodo in cui furono condotte le indagini, Aparo si trovava in carcere, a Milano, per cui, secondo i carabinieri, sarebbe stato Massimo Calafiore il reggente della cosca, che, attraverso le lettere, avrebbe preso ordini dal boss Antonino Aparo.
I vertici della cosca
Il braccio destro di Massimo Calafiore sarebbe stato, secondo i carabinieri ed i magistrati della Dda di Catania, Giuseppe Calafiore, al di sotto di essi c’erano Salvatore Giangravè e Angelo Vassallo, che, inizialmente contrari alla reggenza dei Calafiore, sarebbero stati successivamente convinti dal boss. Il braccio armato del clan, utilizzato per mantenere il regime di sopraffazione sul territorio, sarebbe stato, invece, costituito da Mario Liotta recentemente deceduto, e dal figlio Francesco, divenuti, a parere delle forze dell’ordine, l’articolazione operativa del gruppo criminale, con compiti di intimidazione violenta a commercianti e ad altri privati.
Le intimidazioni e l’usura
L’indagine ha avuto origine dopo alcuni incendi avvenuti nel comune di Floridia ai danni delle attività commerciali, tutti accomunati dallo stesso modus operandi. I roghi venivano appiccati agli esercenti che erano caduti nella rete dell’usura: alle vittime era applicati tassi di interesse mensili del 20 per cento, 240% annui.
Il traffico di droga
I soldi dell’usura sarebbero stati investiti per l’acquisto di partite di droga, fornite dai fornite dai catanesi legati, secondo la Dda di Catania, al clan etneo dei Santapaola Ercolano, gruppo di Nicolosi-Mascalucia.
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