Gianfranco Urso, 49 anni, condannato a 21 anni di reclusione al processo su mafia e droga denominato Aretusa, celebratosi in primo grado, dovrà andare in carcere. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che ha confermato il pronunciamento del Tribunale della libertà di Catania, respingendo, così, il ricorso presentato dalla difesa dell’imputato, ai domiciliari, rappresentato dagli avvocati Junio Celesti e Titta Rizza.

Il figlio del “prufissuri”

Gianfranco Urso è il figlio Agostino Urso, detto “u prufissuri”, storico boss della cosca mafiosa “Urso-Bottaro”, ammazzato il 29 giugno del 1992 al Lido Sayonara, a Fontane Bianche nell’ambito della guerra di mafia.

Ma a proposito dell’associazione criminale siracusana di cui il padre era al vertice, nel corso di un’udienza, tenutosi nell’aula della Corte di Assise di Siracusa, Urso ha negato di aver raccolto il testimone del genitore.  L’imputato era scampato nell’aprile del 2017 alla retata dei carabinieri e della polizia ma fu arrestato dagli agenti della Squadra mobile circa un mese dopo su un tratto di strada di contrada Carrubbazza, nel territorio di Solarino, a bordo di una macchina, insieme ad un’altra persona, arrestata con l’accusa di favoreggiamento.

L’inchiesta

Il processo, in primo grado, che si è concluso nei mesi scorsi con 18 sentenze di condanna e 3 assoluzioni, trae origine dall’inchiesta, coordinata dai magistrati della Procura distrettuale antimafia di Catania, che ha avuto inizio tra il 2014 ed il 2015, periodo in cui gli inquirenti avrebbero avuto contezza di una nuova geografia del traffico di sostanze stupefacenti, in particolare cocaina ed hashish.

I tre gruppi

Secondo la tesi dell’accusa, nel capoluogo si sarebbero formati tre gruppi che si sarebbero spartiti il territorio: il primo avrebbe avuto come quartier generale via Bartolemeo Cannizzo, sotto il controllo di Gianfranco Urso, il secondo avrebbe operato alla Borgata, ed a capo ci sarebbe stato Luigi Cavarra, deceduto nel 2018 dopo essersi pentito, l’ultimo, invece, avrebbe messo radici Cassibile ed a guidarlo sarebbe stato Francesco Satorino che un anno fa è diventato collaboratore di giustizia.