ROMA (ITALPRESS) – “Quello in ex Jugoslavia fu il primo vero conflitto nel nostro continente dopo il 1945, pertanto quel fatidico 24 marzo 1999 segnò l’inizio di una delle pagine più tristi della storia recente dell’Europa”. Il generale Giuseppe Morabito, già capo di Stato maggiore del contingente KFOR (Kosovo Force) tra il 2000 il 2002 e membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation, in un’intervista all’Italpress ha ripercorso i principali punti del conflitto in ex Jugoslavia a 25 anni dall’operazione dell’Alleanza Atlantica in Serbia e Kosovo avviata il 24 marzo 1999.
“Quel giorno, verso le ore 16 – ha spiegato -, la NATO avviò la sua operazione (Allied Force) contro la Repubblica Federale di Jugoslavia guidata da Slobodan Milosevic, consistita in un’intensa campagna di attacchi aerei durata oltre due mesi, fino al 10 giugno. L’operazione fu condotta evitando scrupolosamente l’opzione dell’attacco terrestre. E’ stata la seconda azione militare nella storia della NATO, dopo l’operazione Deliberate Force del 1995 in Bosnia ed Erzegovina. E’ stata, inoltre, la prima volta in cui la NATO ha usato la forza militare senza la preventiva approvazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Sulla carta l’intervento della NATO aveva lo scopo di riportare la delegazione serba al tavolo delle trattative diplomatiche. Il conflitto portò, nel tempo, il Kosovo a staccarsi dalla Serbia (e nel 2008 a dichiarare unilateralmente lo stato d’indipendenza) e alla caduta del presidente Milosevic”.
“Il nostro paese – ha spiegato – partecipò ai bombardamenti in virtù della sua appartenenza alla NATO e della sua posizione geografica sulla sponda opposta dell’Adriatico, con diverse basi e aeroporti militari, alcune dei quali in gestione delle forze armate degli Stati Uniti. La nostra penisola fu un trampolino di lancio essenziale nel conflitto. Ai bombardamenti parteciperanno più di 50 aerei italiani, attaccando gli obiettivi indicati dalla NATO. Per decisione del governo il numero di aerei italiani che bombardarono la Serbia è stato secondo solo agli americani”.
Dopo oltre 20 anni i Balcani vivono ancora momenti di tensione. “I Balcani occidentali guardano all’Unione Europea per il loro futuro. A mio parere – ha evidenziato il generale – le crisi in atto in Israele e Ucraina mettono in risalto quanto sia centrale per i paesi dei Balcani trovare una comune ‘via europeà. La cooperazione regionale tra i paesi dei Balcani occidentali (Macedonia del Nord, Albania, Serbia e Montenegro) appare fondamentale per il loro processo di pace e integrazione europea. Tale cooperazione svolge un ruolo centrale nella stabilità regionale, nei rapporti tra i paesi dei Balcani occidentali e nel loro basilare percorso verso l’integrazione europea”.
Per il generale Morabito, “è palese che la principale crisi dei Balcani Occidentali e principale ostacolo a una futura integrazione europea risiede nella crisi del Kosovo e i suoi sviluppi. Sulla scia dei pesanti scontri tra la polizia del Kosovo e i serbi del Kosovo il 24 settembre 2023, seguiti da movimenti di truppe serbe e della NATO, il dialogo Kosovo-Serbia, mediato dall’UE e sostenuto dagli Stati Uniti, è a un punto importante. Quando la NATO intervenne nel 1999 per fermare le azioni serbe contro gli albanesi in Kosovo, fermò un conflitto ma risolse ben poco. Da allora, i politici ‘ultranazionalistì su entrambi i lati del confine hanno vinto le elezioni. Per più di 20 anni, la presenza della KFOR e gli incentivi allo sviluppo per entrambe le parti hanno ampiamente impedito che questo conflitto si estendesse nuovamente alla regione. Ovviamente, la guerra dell’Ucraina, a seguito dell’aggressione russa, ha cambiato la percezione dell’influenza di Mosca nei Balcani e, più recentemente, l’effettiva espulsione/pulizia etnica degli armeni dal Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbaijan appoggiato dalla Turchia, potrebbe significare che il traballante equilibrio si sta rapidamente erodendo e lo status quo sostenuto dal deterrente della KFOR e l’incentivo citato dell’adesione all’UE potrebbe non reggere più”.
Nella stabilità balcanica l’Italia riveste un ruolo importante. “Subito dopo che si era insediato l’attuale governo – ha spiegato Morabito – i ministri Crosetto e Tajani hanno incontrato i vertici politici di Serbia e Kosovo facendo ben comprendere che l’Italia è oggi pronta a mediare e trovare una soluzione. Inoltre, il Comando delle forze della NATO in Kosovo era in quel periodo del nostro Paese. In Kosovo – ha continuato – sono permanentemente presenti alcune centinaia di militari italiani e questo conferma che la stabilità della regione è un’importante questione d’interesse nazionale. Roma è considerata un attore centrale per la stabilità balcanica”.
“I kosovari sono schierati con gli Stati Uniti in modo assoluto, hanno contributori dell’area mediorientale del Golfo e asiatica, e l’autarchia turca cerca in ogni modo di influenzare, a mio parere negativamente, il Paese. L’Italia deve giocare il ruolo di ‘baluardò della democrazia”, ha aggiunto.
Oggi le diverse crisi e i conflitti in varie aree del Pianeta preoccupano la comunità internazionale. Sono cambiati gli scenari e anche la posizione della NATO. “L’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina e il protrarsi di un conflitto convenzionale ad alta intensità appena oltre i confini dell’Alleanza Atlantica – ha spiegato Morabito – ha sensibilmente promosso un consolidamento e rinvigorimento della NATO sotto numerosi profili. L’adesione di Finlandia e Svezia insieme al ruolo dell’Alleanza nel sostegno a Kiev rappresentano il segnale più evidente del rafforzamento politico-strategico dell’Organizzazione. Anche la componente operativo-militare ha profondamente aggiornato postura, piani e potenziali prospettive d’impiego. La NATO ha confermato la centralità del compito di deterrenza e difesa e questo ha implicato un rilevante aggiornamento delle capacità di dissuadere ed eventualmente contrastare l’azione dei potenziali avversari intenzionati a minacciare l’integrità e sicurezza dell’Alleanza. Questo rappresenta dunque un presupposto fondamentale per approntare le forze dell’Alleanza a un’eventuale attivazione dell’Articolo 5 del Trattato dell’Atlantico del Nord. La grande esercitazione ‘Steadfast Defender’ dal 24 Gennaio scorso – ha continuato – mira proprio a quest’obiettivo, delineando uno scenario operativo in cui nell’arco di quasi cinque mesi il dispositivo militare alleato ha effettuato ed effettuerà una sequenza di operazioni finalizzate a proiettare, dispiegare, supportare e sostenere un grande contingente multinazionale in un contesto di combattimento difensivo ad alta intensità”.
“Questo per dimostrare a eventuali attori avversari il potenziale militare della NATO capace di concretarsi contro una minaccia significativa sul fianco orientale dell’Alleanza Atlantica, lungo un ipotetico fronte esteso dalle regioni artiche del Vecchio Continente fino al Mar Nero. Si è passati, quindi, negli anni, a considerare possibile doversi difendere da un attacco a un membro dell’Alleanza e non solo a considerare necessario un intervento a salvaguardia dello status democratico in un’area d’interesse quale era stato ritenuto l’intervento in Serbia e Kosovo. In 25 anni – ha concluso il generale Morabito – sono cambiati i fattori di rischio e conseguentemente le necessità difensive”.
“Quel giorno, verso le ore 16 – ha spiegato -, la NATO avviò la sua operazione (Allied Force) contro la Repubblica Federale di Jugoslavia guidata da Slobodan Milosevic, consistita in un’intensa campagna di attacchi aerei durata oltre due mesi, fino al 10 giugno. L’operazione fu condotta evitando scrupolosamente l’opzione dell’attacco terrestre. E’ stata la seconda azione militare nella storia della NATO, dopo l’operazione Deliberate Force del 1995 in Bosnia ed Erzegovina. E’ stata, inoltre, la prima volta in cui la NATO ha usato la forza militare senza la preventiva approvazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Sulla carta l’intervento della NATO aveva lo scopo di riportare la delegazione serba al tavolo delle trattative diplomatiche. Il conflitto portò, nel tempo, il Kosovo a staccarsi dalla Serbia (e nel 2008 a dichiarare unilateralmente lo stato d’indipendenza) e alla caduta del presidente Milosevic”.
“Il nostro paese – ha spiegato – partecipò ai bombardamenti in virtù della sua appartenenza alla NATO e della sua posizione geografica sulla sponda opposta dell’Adriatico, con diverse basi e aeroporti militari, alcune dei quali in gestione delle forze armate degli Stati Uniti. La nostra penisola fu un trampolino di lancio essenziale nel conflitto. Ai bombardamenti parteciperanno più di 50 aerei italiani, attaccando gli obiettivi indicati dalla NATO. Per decisione del governo il numero di aerei italiani che bombardarono la Serbia è stato secondo solo agli americani”.
Dopo oltre 20 anni i Balcani vivono ancora momenti di tensione. “I Balcani occidentali guardano all’Unione Europea per il loro futuro. A mio parere – ha evidenziato il generale – le crisi in atto in Israele e Ucraina mettono in risalto quanto sia centrale per i paesi dei Balcani trovare una comune ‘via europeà. La cooperazione regionale tra i paesi dei Balcani occidentali (Macedonia del Nord, Albania, Serbia e Montenegro) appare fondamentale per il loro processo di pace e integrazione europea. Tale cooperazione svolge un ruolo centrale nella stabilità regionale, nei rapporti tra i paesi dei Balcani occidentali e nel loro basilare percorso verso l’integrazione europea”.
Per il generale Morabito, “è palese che la principale crisi dei Balcani Occidentali e principale ostacolo a una futura integrazione europea risiede nella crisi del Kosovo e i suoi sviluppi. Sulla scia dei pesanti scontri tra la polizia del Kosovo e i serbi del Kosovo il 24 settembre 2023, seguiti da movimenti di truppe serbe e della NATO, il dialogo Kosovo-Serbia, mediato dall’UE e sostenuto dagli Stati Uniti, è a un punto importante. Quando la NATO intervenne nel 1999 per fermare le azioni serbe contro gli albanesi in Kosovo, fermò un conflitto ma risolse ben poco. Da allora, i politici ‘ultranazionalistì su entrambi i lati del confine hanno vinto le elezioni. Per più di 20 anni, la presenza della KFOR e gli incentivi allo sviluppo per entrambe le parti hanno ampiamente impedito che questo conflitto si estendesse nuovamente alla regione. Ovviamente, la guerra dell’Ucraina, a seguito dell’aggressione russa, ha cambiato la percezione dell’influenza di Mosca nei Balcani e, più recentemente, l’effettiva espulsione/pulizia etnica degli armeni dal Nagorno-Karabakh da parte dell’Azerbaijan appoggiato dalla Turchia, potrebbe significare che il traballante equilibrio si sta rapidamente erodendo e lo status quo sostenuto dal deterrente della KFOR e l’incentivo citato dell’adesione all’UE potrebbe non reggere più”.
Nella stabilità balcanica l’Italia riveste un ruolo importante. “Subito dopo che si era insediato l’attuale governo – ha spiegato Morabito – i ministri Crosetto e Tajani hanno incontrato i vertici politici di Serbia e Kosovo facendo ben comprendere che l’Italia è oggi pronta a mediare e trovare una soluzione. Inoltre, il Comando delle forze della NATO in Kosovo era in quel periodo del nostro Paese. In Kosovo – ha continuato – sono permanentemente presenti alcune centinaia di militari italiani e questo conferma che la stabilità della regione è un’importante questione d’interesse nazionale. Roma è considerata un attore centrale per la stabilità balcanica”.
“I kosovari sono schierati con gli Stati Uniti in modo assoluto, hanno contributori dell’area mediorientale del Golfo e asiatica, e l’autarchia turca cerca in ogni modo di influenzare, a mio parere negativamente, il Paese. L’Italia deve giocare il ruolo di ‘baluardò della democrazia”, ha aggiunto.
Oggi le diverse crisi e i conflitti in varie aree del Pianeta preoccupano la comunità internazionale. Sono cambiati gli scenari e anche la posizione della NATO. “L’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina e il protrarsi di un conflitto convenzionale ad alta intensità appena oltre i confini dell’Alleanza Atlantica – ha spiegato Morabito – ha sensibilmente promosso un consolidamento e rinvigorimento della NATO sotto numerosi profili. L’adesione di Finlandia e Svezia insieme al ruolo dell’Alleanza nel sostegno a Kiev rappresentano il segnale più evidente del rafforzamento politico-strategico dell’Organizzazione. Anche la componente operativo-militare ha profondamente aggiornato postura, piani e potenziali prospettive d’impiego. La NATO ha confermato la centralità del compito di deterrenza e difesa e questo ha implicato un rilevante aggiornamento delle capacità di dissuadere ed eventualmente contrastare l’azione dei potenziali avversari intenzionati a minacciare l’integrità e sicurezza dell’Alleanza. Questo rappresenta dunque un presupposto fondamentale per approntare le forze dell’Alleanza a un’eventuale attivazione dell’Articolo 5 del Trattato dell’Atlantico del Nord. La grande esercitazione ‘Steadfast Defender’ dal 24 Gennaio scorso – ha continuato – mira proprio a quest’obiettivo, delineando uno scenario operativo in cui nell’arco di quasi cinque mesi il dispositivo militare alleato ha effettuato ed effettuerà una sequenza di operazioni finalizzate a proiettare, dispiegare, supportare e sostenere un grande contingente multinazionale in un contesto di combattimento difensivo ad alta intensità”.
“Questo per dimostrare a eventuali attori avversari il potenziale militare della NATO capace di concretarsi contro una minaccia significativa sul fianco orientale dell’Alleanza Atlantica, lungo un ipotetico fronte esteso dalle regioni artiche del Vecchio Continente fino al Mar Nero. Si è passati, quindi, negli anni, a considerare possibile doversi difendere da un attacco a un membro dell’Alleanza e non solo a considerare necessario un intervento a salvaguardia dello status democratico in un’area d’interesse quale era stato ritenuto l’intervento in Serbia e Kosovo. In 25 anni – ha concluso il generale Morabito – sono cambiati i fattori di rischio e conseguentemente le necessità difensive”.
– Foto: Agenzia Fotogramma –
(ITALPRESS).
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