La prima sezione della Corte d’appello di Palermo ha assolto dall’accusa di associazione mafiosa Gaspare Lipari, 53 anni, di Campobello di Mazara, accusato di essere il “trait d’union” tra Cosa Nostra e il defunto ex sindaco dello stesso Comune belicino, Ciro Caravà. Entrambi erano stati assolti in primo grado nel 2014 dal tribunale di Marsala presieduto da Gioacchino Natoli e poi condannati in appello, nel 2015, a 9 anni di carcere. Ma nell’aprile 2016 la Cassazione annullò le due condanne, rinviando, soltanto per Lipari (Caravà morì nel 2017, ndr), il processo a una diversa sezione della Corte d’appello di Palermo.

Il processo d’appello bis

E adesso, nel processo d’appello bis, Lipari è stato assolto. Ciro Caravà, che era alla guida di una giunta di centrosinistra, e Gaspare Lipari erano stati arrestati il 16 dicembre 2011 nell’operazione della Dda e carabinieri “Campus Belli“. Il Comune fu sciolto per infiltrazioni mafiose il 27 luglio 2012. L’ex primo cittadino, secondo l’accusa, avrebbe intrattenuto rapporti con esponenti della locale cosca capeggiata dall’anziano boss Leonardo Bonafede, in passato condannato per mafia. La Suprema Corte, però, annullò la condanna di Caravà.

Lo scioglimento del Comune

Caravà, che all’indomani dell’operazione antimafia venne stato sospeso dalla carica di sindaco, non si dimise. Al Comune, dopo l’autoscioglimento del consiglio comunale, arrivò il commissario straordinario nominato dalla Regione che però inizialmente non poteva esercitare i poteri di giunta proprio per le mancate dimissioni di Caravà. Fi necessario l’intervento dell’allora prefetto di Trapani, Marilisa Magno, la quale firmò il decreto di revoca dalla carica di sindaco di Campobello di Mazara per Caravà. Il decreto venne poi notificato dai carabinieri del comando provinciale di Trapani agli allora segretario comunale, presidente del Consiglio comunale e vicesindaco di Campobello di Mazara.

L’iniziale contestazione

Dalle indagini era emerso, secondo i pm, che il sindaco Caravà intratteneva rapporti con esponenti della locale famiglia mafiosa capeggiata dall’anziano ultraottantenne Leonardo Bonafede, anch’egli imputato assieme a Cataldo La Rosa e Simone Mangiaracina, considerati il “braccio operativo” dell’anziano boss, a Gaspare Lipari, che per l’appunto avrebbe svolto una funzione di “collegamento” tra il sindaco e il capomafia, ad Antonino Moceri e ad Antonio Tancredi.

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