Non si fermano le indagini sulla trentennale latitanza di Matteo Messina Denaro. A mesi dalla sua morte gli inquirenti lavorano incessantemente sulle sue mosse e decisioni ma anche sul ruolo della famiglia Bonafede-Gentile di Campobello di Mazara che è stata senza dubbio fondamentale.

Gli investigatori stanno facendo luce su quella cerchia di favoreggiatori e fiancheggiatori che gli ha permesso di vivere in tutta serenità in provincia di Trapani dove si spostava senza difficoltà in macchina, in moto e con identità diverse permettendogli una vita praticamente normale e, quasi alla luce del sole.

Le indagini proseguono, sotto la lente migliaia di pizzini

Il lavoro di chi indaga prosegue, dunque, per svelare ulteriori connivenze. Si scava a fondo su tutto. E sotto la lente al momento migliaia di pizzini trovati nei covi con nomi e cifre in codici.

E ci sono anche i più tecnologici pc e telefonini degli indagati sui quali lavorare. Molte persone che favorirono la latitanza del boss mancano all’appello.

In tanti conoscevano la vera identità del “signor Bonafede”

Tanti, troppi, in paese conoscevano della vera identità del “signor Bonafede”. E molti hanno coperto o aiutato. Ma anche le innumerevoli inchieste che negli anni hanno colpito al cuore la famiglia di Campobello. Oltre alla sorella Rosalia, arrestata e al momento sotto processo, “punto di riferimento – scrive nell’ordinanza il gip Alfredo Montalto delineando le figure degli ultimi tre arrestati, Massimo Gentile, Cosimo Leone e Leonardo Gulotta – è stato l’interno nucleo familiare dei Bonafede, secondo una linea di continuità che parte dal boss (deceduto) ‘Nardo’ Bonafede, e prosegue con la figlia Laura, la nipote Martina Gentile (figlia di Laura) e coinvolge i cugini Andrea Bonafede classe ‘63 geometra e Andrea Bonafede classe ‘69 operaio, il cugino Emanuele, fratello dell’operaio Bonafede. Sino ad arrivare al cugino di 2° grado del marito di Laura, Salvatore, ovvero l’architetto Massimo Gentile e il cognato di quest’ultimo Cosimo Leone”.

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