Sono una ventina le impronte digitali trovate nel covo di vicolo San Vito, a Campobello di Mazara, in cui il boss Matteo Messina Denaro ha trascorso gli ultimi anni di latitanza. I carabinieri, al termine di un lungo lavoro cominciato dopo la scoperta dell’appartamento poche ore dopo la cattura del padrino, hanno isolato le tracce di circa venti persone. Alcune avrebbero frequentato il covo, mentre altre avrebbero lasciato le impronte su alcuni oggetti.

La scoperta

Come Martina Gentile, la figlia della maestra Laura Bonafede, amante storica del boss, le cui tracce sono state trovate su uno dei dvd presenti nel nascondiglio. La Gentile è ai domiciliari dalla scorsa settimana con l’accusa di favoreggiamento e procurata inosservanza della pena aggravate.

Oltre a smistare la corrispondenza del padrino, l’avrebbe incontrato in latitanza. Gli investigatori, coordinati dalla Procura di Palermo, stanno cercando di capire se la ragazza, madre di una bambina di tre anni, abbia per conto del boss svolto “missioni” a Palermo. Dalle indagini è emerso che la donna sarebbe più volte andata nel capoluogo fingendo al lavoro di stare male. Gli inquirenti, che tentano di ricostruire gli anni di latitanza del capomafia, che si sarebbe nascosto a Campobello dal 2017, sono ora al lavoro per identificare tutti quelli che sono passati per il covo o hanno avuto contatti con Matteo Messina Denaro. Il latitante- emergerebbe dagli accertamenti – avrebbe condotto per anni una vita quasi normale: frequentando persone, uscendo e viaggiando anche fuori dalla Sicilia.

La versione di Luppino

Ha chiesto di essere sentito dal gip all’udienza preliminare che lo vede imputato di associazione mafiosa Giovanni Luppino, l’imprenditore arrestato insieme a Messina Denaro il 16 gennaio scorso e accusato, tra l’altro, di aver fatto da autista al capomafia. L’imputato inizialmente aveva detto di non sapere che l’uomo accompagnato alla clinica Maddalena per le terapie il giorno del blitz fosse il latitante. Il padrino gli avrebbe dato un nome falso e gli avrebbe chiesto un passaggio.

Una versione smentita dalle indagini che oggi Luppino ha parzialmente modificato. “Andrea Bonafede, mio compaesano che non frequentavo abitualmente nel 2020 mi presentò un uomo sostenendo che fosse suo cugino e chiedendomi di accompagnarlo a Palermo per delle cure”, ha detto ai pm Piero Padova e Gianluca De Leo. Un giorno, però, il passeggero, conosciuto col nome di Francesco, si sentì male durante uno dei viaggi per il capoluogo e all’invito di Luppino di andare in ospedale avrebbe detto: “Portami a casa, sono Messina Denaro non posso andare in ospedale”. Da allora “per ragioni umanitarie”, sapendo che il boss era gravemente malato, l’imputato l’avrebbe continuato ad accompagnare alle terapie. Il padrino gli avrebbe di volta in volta lasciato nella cassetta delle poste un biglietto con l’orario dell’appuntamento successivo.

Lo scetticismo degli inquirenti

Una versione che, per gli inquirenti, fa acqua da più parti. Luppino ha negato di aver rapporti di frequentazione con Bonafede e con la cugina Laura, altra favoreggiatrice del boss, ma gli investigatori hanno scoperto che la donna ha battezzato i figli dell’imprenditore. Le indagini, inoltre, hanno accertato che Luppino, prima delle manette, avrebbe chiesto denaro ad alcuni imprenditori dicendo che era un emissario del padrino di Castelvetrano e che i soldi erano destinati al boss. Circostanza confermata dai testimoni a cui l’autista del capomafia aveva chiesto le somme che hanno negato però di aver pagato. Dalle analisi delle celle telefoniche di Luppino risulta, inoltre, che questi avrebbe portato il capomafia in clinica per ben 50 volte in due anni.

Articoli correlati