La giovane violentata dal branco a Campobello di Mazara non ha avuto dubbi. E’ andata dai carabinieri e ha raccontato la notte da incubo passata nella villetta di Triscina. Il padre della vittima ha avuto un attimo di incredulità. Non riusciva a capacitarsi che alcuni giovani, amici della ragazza avessero potuto farle tanto male.
Subito dopo avere appreso la notizia ancora frastornato si è presentato ai carabinieri insieme ai giovani che avrebbero violentato la giovane e ha detto che la figlia era ubriaca e i giovani che l’hanno violentata erano bravi ragazzi.
“Questi sono dei bravi ragazzi, le ferite che mia figlia ha alle braccia sono dovute al fatto che i suoi amici tentavano di riportarla a casa, ma lei era ubriaca e faceva resistenza”.
Ma subito dopo, come spiegano gli investigatori, una volta che ha saputo cosa fosse realmente successo nella villetta è stato sempre a fianco della figlia e l’ha sostenuta nella sua personale battaglia contro il branco per chiedere giustizia per quanto di terribile è successo.
Intanto sono stati fissati per lunedì gli interrogatori di garanzia dei 4 ragazzi arrestati ieri con l’accusa di violenza nei confronti di una ragazza diciottenne di Campobello di Mazara. Il gip Riccardo Alcamo ascolterà E.B., 23 anni e il cugino F.B., 24 anni, di Marsala (difesi dagli avvocati Massimo e Matilde Mattozzi), che da ieri sono rinchiusi nel carcere di Trapani. Saranno anche interrogati i campobellesi G.T., 20 anni (difeso dall’avvocato Giuseppe Pantaleo), e D.C., 22 anni (difeso dal legale Davide Brillo) finiti agli arresti domiciliari.
Il racconto della vittima è stato sempre coerente e preciso. “Mi hanno telefonato, invitandomi a una festa: “Ci sono anche altre persone”. Ma era una trappola”. È una ragazza coraggiosa quella che ha raccontato una sera da incubo, era il 6 febbraio. E, ieri, la procura di Marsala ha fatto scattare quattro arresti: due in carcere e due ai domiciliari.
Per tutti, l’accusa è quella di violenza sessuale di gruppo aggravata. Un minorenne è indagato a piede libero.
Questa è una storia di orrori, ma anche di coraggio, perché la vittima dello stupro ha continuato a chiedere verità e giustizia.
Mi hanno portata in una casa estiva di Tre Fontane dicendo che c’erano anche altre ragazze — racconta la vittima — Abbiamo ballato e bevuto in attesa che arrivassero, ma non si è presentato nessuno”. La giovane si apparta con uno dei quattro con cui intrattiene una relazione saltuaria. Sono al primo piano dell’abitazione. All’improvviso, lui chiama il cugino. “Dico subito che non mi piace quella situazione”, ricorda lei. Poi, arriva anche il cugino.
Entrambi, violentano la ragazza. Mentre gli altri tre sono sull’uscio della porta: ridono, scherzano, scattano delle foto.
“Io chiedevo aiuto, cercavo di divincolarmi — è drammatico il racconto della vittima — mi temevano le braccia, ho sbattuto la testa contro il muro. Chiedevo aiuto a Giuseppe, ma nessuno mi ha aiutata”.
L’hanno poi riportata a casa. La giovane ha trovato subito il conforto della madre e del fratello. E il giorno dopo proprio il fratello l’ha accompagnata in caserma.
“Approfittare di una donna in stato di ebbrezza per violentarla è un’aggravante che va punita con il massimo della severità nei confronti degli stupratori. Bisogna finirla con questa deriva giustificazionista che sta irresponsabilmente dilagando nel nostro Paese. Ritengo gravissime le parole del padre della 18enne violentata dal branco a Campobello di Mazara lo scorso febbraio, che avrebbe difeso gli aggressori adducendo la motivazione che la figlia fosse ubriaca e che i quattro presunti stupratori sono bravi ragazzi. Una tesi inaccettabile sulla quale è bene indagare fino in fondo, anche per accertare se queste parole sino state pronunciate liberamente oppure sotto minaccia. Quello che purtroppo emerge da questa ennesima, drammatica, storia è la vergognosa e perseverante tendenza a gettare sulla vittima la colpa di quanto accaduto. Una società civile degna di questo nome non può accettare nulla di simile”.
Queste le parole di Michela Rostan, vicepresidente della Commissione Affari sociali della Camera. “Faccio appello – prosegue Rostan – al senso di responsabilità di chi ricopre incarichi politici e ruoli rilevanti nel mondo della comunicazione a non alimentare questa sub cultura che è causa fondante dei comportamenti di violenza, in particolare nell’ambito familiare, ai danni delle donne. Così come chiedo con forza che nei confronti di chi ha il coraggio di denunciare si crei una cortina protettiva fatta da istituzioni, forze dell’ordine e, soprattutto, dalla comunità locale, che consenta di non lasciare sola la vittima di fronte alla tragedia e ai suoi aguzzini di farla franca”.
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