Davide Romano

Davide Romano è attivo nel mondo del volontariato e appassionato di studi religiosi, lavora da molti anni nell’ambito della comunicazione politica, culturale, religiosa e sindacale.

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A Palermo, nel secondo Ottocento, era più facile incontrare il colera che un medico. Ma tra i vicoli di Ballarò e i cortili dell’Albergheria, c’era un uomo che correva dove gli altri fuggivano. Era piccolo, nervoso, sempre vestito di scuro, col volto scavato e la barba incolta. Lo chiamavano “il medico dei poveri”. Non per celia, ma per verità. Era Giacomo Cusmano. E la sua vita fu un Vangelo ambulante.


Nato il 15 marzo 1834 in una famiglia borghese, orfano di madre a tre anni, crebbe sotto l’ala di un padre severo e devoto. Studiò dai gesuiti e poi alla Regia Università di Palermo, dove si laureò in medicina nel 1855, a soli 21 anni. Avrebbe potuto fare fortuna, aprire uno studio in via Maqueda, curare signore affette da noia e reumatismi. Ma il colera del 1860 cambiò tutto. Quel morbo, che in poche settimane sterminò oltre settemila palermitani, gli mostrò l’inutilità della scienza senza amore.


Fu allora che Giacomo cominciò a frequentare i quartieri bassi, dove i bambini morivano come mosche e le madri cercavano il pane nel fango. Tornava a casa pallido, turbato. “Ho visto Cristo nella febbre di un mendicante”, scriveva. Finché un giorno abbandonò la medicina. Non rinunciò a curare, ma cambiò metodo. Si fece sacerdote, con l’idea che il Vangelo fosse il primo e vero rimedio alla miseria.


Nel 1867 fondò l’Opera del Boccone del Povero. Il nome, che oggi suonerebbe come uno slogan pubblicitario, aveva il sapore semplice della tavola contadina. “Un boccone ciascuno può darlo – diceva – anche chi è povero”. Non cercava elemosine, cercava condivisione. Voleva che ogni casa palermitana fosse un altare e ogni pane una preghiera.


La sua idea era rivoluzionaria: una rete di carità capillare, fondata sulla partecipazione di tutti. Iniziò con una cesta davanti alla porta della canonica. Ogni giorno vi trovava pane, frutta, qualche moneta, e a volte nulla. Ma la Provvidenza – diceva lui – “si sveglia tardi ma arriva sempre”. Con quei bocconi Cusmano sfamava famiglie intere, salvava bambini dalla strada, assisteva gli agonizzanti.


L’Opera crebbe in silenzio, come crescono i semi buoni. Arrivarono volontari, poi religiose, poi fratelli. Nel 1887 nacquero ufficialmente i Fratelli e le Serve dei Poveri, due congregazioni religiose consacrate alla carità più radicale. Nessuna grande istituzione, solo mani nude, piedi scalzi e cuori pieni.


Cusmano viveva come i suoi poveri: dormiva su un sacco di paglia, mangiava gli avanzi, curava i lebbrosi a mani scoperte. Una sera, vedendolo soccorrere un moribondo, un confratello sussurrò: “Ma questo non è un uomo, è un pazzo”. E Cusmano rispose con un sorriso: “Se amare i poveri è follia, allora sì, sono pazzo”.


Aveva anche nemici. I benpensanti della Palermo borghese lo accusavano di populismo, di ostentazione. “Vuole fare il santo a spese nostre”, dicevano. Ma lui non rispondeva. Una volta scrisse: “Solo chi lava i piedi ai poveri sa quanto puzzano. Eppure, sono i piedi di Cristo”. Non era poesia, era esperienza.


Nel 1881, dopo un terremoto che devastò la Sicilia occidentale, l’Opera del Boccone accorse prima dello Stato. Distribuì cibo, vestiti, medicine. I giornali lo notarono. Qualcuno scrisse: “Cusmano è il Garibaldi dei poveri”. Ma lui, infastidito, replicò: “Io non conquisto, servo”.


Morì il 14 marzo 1888, alla vigilia del suo 54º compleanno. Un infarto lo colse mentre pregava. Palermo si fermò. I suoi funerali furono una processione spontanea di migliaia di poveri. Nessuna autorità in prima fila, solo volti segnati dalla gratitudine. Un mendicante gridò: “È morto il padre che non ci ha mai chiesto chi fossimo”.


Il suo corpo riposa nella chiesa della Casa Madre, in via Pindemonte. Da lì, il suo spirito non ha mai smesso di camminare. Oggi i suoi “bocconi” sfamano ancora migliaia di persone in Italia, Africa, America Latina. I suoi religiosi sono pochi, ma tenaci. “Noi non moltiplichiamo il pane – diceva – ma dividiamo quello che abbiamo”.


Il 30 ottobre 1983, Giovanni Paolo II lo proclamò beato in Piazza San Pietro. Disse: “Fu un profeta della carità, capace di unire fede e compassione in un’epoca di grande egoismo sociale”. Eppure, più che l’altare, a Cusmano interessava la strada. È lì che si sente ancora la sua voce, tra i clochard, i migranti, i dimenticati. È lì che vive il suo Vangelo povero.


A chi oggi lo cerca nei libri, basterebbe una visita a una mensa del Boccone del Povero. Lì c’è ancora quel pane spezzato, quel sorriso disarmato, quella mano tesa. Perché – come scrisse lui stesso – “La carità non è un’opera, è una vita”.


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Fonti e citazioni

• Cusmano, G., Lettere spirituali, Archivio Boccone del Povero, Palermo.

• Tarallo, G., Giacomo Cusmano, il medico dei poveri, Paoline, 2003.

• Giovanni Paolo II, Omelia per la beatificazione di Giacomo Cusmano, 30 ottobre 1983.

• Bonafede, A., Palermo nel cuore: Santi e rivoluzionari, Sellerio, 2010.

• Archivio Storico Diocesano di Palermo, sez. Cusmano, cart. 12.

• Atti del processo di beatificazione, Roma, Congregazione per le Cause dei Santi.

• Testimonianze raccolte presso la Casa Madre dell’Opera, Palermo.


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