Davide Romano

Davide Romano è attivo nel mondo del volontariato e appassionato di studi religiosi, lavora da molti anni nell’ambito della comunicazione politica, culturale, religiosa e sindacale.

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Cari lettori, c’è qualcosa di grottescamente italiano in quello che sta accadendo in Sicilia. Mentre scrivo queste righe, il territorio agrigentino sta affrontando una delle più gravi emergenze idriche della sua storia recente, mettendo in ginocchio il settore agricolo proprio mentre la città si prepara a celebrare il suo ruolo di Capitale italiana della Cultura 2025. Un paradosso che solo la nostra cara, vecchia, ineffabile penisola poteva regalarci.

Vedete, la Sicilia di luglio 2025 è un’isola che ha dimenticato di essere un’isola. Circondata da acqua salata, muore di sete dolce. La spesa media sostenuta dalle famiglie in Sicilia per le bollette dell’acqua è di 489 euro: la dispersione idrica è del 42% per cento. Quasi la metà dell’acqua che dovrebbe arrivare ai rubinetti si perde per strada, in tubature colabrodo che nessuno ha mai pensato di aggiustare perché, si sa, è più divertente tagliare nastri che riparare condutture.


Il teatrino di Agrigento

Ma il capolavoro di questa commedia dell’assurdo ha un nome: Agrigento. La città che dovrebbe essere la vetrina culturale d’Italia nel 2025 è la stessa che ha un sindaco pronto a restituire il titolo di “Agrigento Capitale Italiana della Cultura 2025” se la città dovesse essere ancora irrimediabilmente attanagliata dalla crisi idrica.

Immaginate la scena: turisti da tutto il mondo che vengono a visitare la Valle dei Templi e trovano i templi, sì, ma senza acqua nei bagni. Una performance artistica involontaria che nemmeno Maurizio Cattelan avrebbe osato immaginare. Sono stati spesi oltre 12.700.000 euro fino ad oggi per eventi e concerti, mentre la popolazione fa la fila alle autobotti come nei paesi del Sahel.

Il sindaco Franco Miccichè ha almeno l’onestà di dire le cose come stanno, a differenza di quella schiera di politici che continuano a promettere mari e monti dimenticandosi che di mari, appunto, ne abbiamo fin troppi, ma di acqua potabile neanche l’ombra.


I dissalatori fantasma

Ora, permettetemi una piccola lezione di geografia per i nostri amministratori: la Sicilia è un’isola. È circondata da acqua salata. Esiste una tecnologia, chiamata dissalazione, che trasforma l’acqua salata in acqua dolce. Non è fantascienza, è fisica elementare. Eppure, si è conclusa con esito positivo la conferenza di servizi per la realizzazione e messa in esercizio dell’impianto di dissalazione di acqua di mare di Gela (CL), con portata acqua desalinizzata pari a 96 l/s (breve periodo) e 192 l/s (lungo periodo).

Una conferenza di servizi! Come se stessimo parlando di costruire una stazione spaziale e non di risolvere un problema che gli arabi avevano già risolto mille anni fa. I due impianti consentiranno un recupero di 192 litri al secondo, annuncia trionfante il presidente della Regione Renato Schifani. 192 litri al secondo, per un’isola che ha cinque milioni di abitanti. È come voler riempire una piscina olimpionica con un contagocce.


La burocrazia del deserto

Ma c’è di più. Nicola Dell’Acqua è stato nominato Commissario Straordinario nazionale per l’adozione di interventi urgenti connessi al fenomeno della scarsità idrica con DPCM 4 maggio 2023. Un commissario straordinario! Perché in Italia, quando le cose vanno male, la soluzione è sempre nominare un commissario. È come se avessimo un incendio e invece di chiamare i pompieri nominassimo un commissario straordinario per lo spegnimento delle fiamme.

E mentre il commissario commissaria, non si arresta l’emergenza idrica in Sicilia, con precipitazioni ben al di sotto delle medie storiche che hanno portato all’assenza di acqua in alcuni invasi, nonostante le misure di razionamento attuate in oltre 105 comuni. 105 comuni! Più della metà della Sicilia senza acqua, mentre a Roma si organizzano conferenze di servizi per decidere se sia il caso di costruire un dissalatore.


I numeri della vergogna

Facciamo due conti, visto che i nostri amministratori sembrano avere qualche difficoltà con l’aritmetica. Il dato ufficiale parla di 850mila persone ma sono molti di più, sicuramente oltre un milione. In pratica un quinto della popolazione siciliana sarà interessato nei prossimi mesi dal piano di riduzione delle forniture di acqua. Un milione di persone! È come se tutta la Sardegna fosse senza acqua.

E sapete qual è la parte più tragicomica? Siamo ancora nel periodo di bassa stagione, per quanto riguarda il turismo. Aspettate l’estate, quando arriveranno i turisti per Agrigento Capitale della Cultura. Sarà uno spettacolo indimenticabile: visitatori da tutto il mondo che faranno la fila alle autobotti insieme ai locali, in una performance di land art che nemmeno Christo avrebbe osato immaginare.


La politica dell’emergenza permanente

Ma la cosa più italiana di tutte è che gli ordini professionali promotori hanno ribadito l’importanza di pianificare interventi a lungo termine, superando la logica emergenziale che ha caratterizzato la gestione idrica negli ultimi anni. Superare la logica emergenziale! In Italia! È come chiedere ai napoletani di non gesticolare mentre parlano.

La verità è che in Italia l’emergenza è il nostro stato naturale. Siamo un paese che vive di emergenze: emergenza rifiuti, emergenza trasporti, emergenza sanità, emergenza scuola. E ora emergenza acqua. È il nostro modo di essere: invece di prevenire i problemi, aspettiamo che esplodano e poi nominiamo un commissario straordinario.


Il futuro che ci aspetta

Vedete, cari lettori, la Sicilia del 2025 è lo specchio dell’Italia che verrà. Un paese che ha dimenticato come si fa a governare, che ha sostituito la competenza con la comunicazione, la programmazione con l’improvvisazione, la responsabilità con lo scaricabarile.

Invitiamo tutti gli Enti preposti, con in testa il Comune di Agrigento, ad informare la cittadinanza sulle soluzioni previste nel breve, medio e lungo termine, scrive qualche coraggioso politico locale. Ma quali soluzioni? L’unica soluzione che questo paese sa mettere in campo è nominare una commissione per studiare il problema, che nomina un sottocomitato per approfondire la questione, che istituisce un tavolo tecnico per valutare le opzioni.

E mentre loro si riuniscono, deliberano, commissariano, la Sicilia muore di sete. Letteralmente. Un contrasto stridente che evidenzia le criticità strutturali irrisolte, come scrive qualche giornalista locale con la delicatezza di chi non vuole disturbare troppo.


Conclusione amara

La Sicilia del 2025 è l’Italia in miniatura: un paese bellissimo ridotto all’osso dall’incompetenza di chi lo governa. Un’isola che potrebbe essere il paradiso terrestre e invece è diventata un laboratorio di inefficienza, dove si spendono 650 mila euro per il concerto di Riccardo Muti mentre la gente fa la fila per riempire una bottiglia d’acqua.

Ma forse è giusto così. Forse questo è il paese che meritiamo: un paese dove si preferisce inaugurare piuttosto che costruire, promettere piuttosto che mantenere, apparire piuttosto che essere. Un paese che ha fatto dell’emergenza una forma d’arte e dell’inefficienza una religione.

E allora godiamoci lo spettacolo, cari lettori. Godiamoci questo meraviglioso teatrino all’italiana, dove i politici recitano la parte dei salvatori mentre il paese affonda. Almeno ci divertiremo, mentre aspettiamo che qualcuno si ricordi che in Sicilia, oltre ai templi greci, vivono anche degli esseri umani.

Che, per inciso, hanno sete.


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