“Io sto sempre dalla parte giusta. Ho accettato con riserva la nomina di Massimo Gentile come suo difensore a patto che egli riesca a dare convincenti spiegazioni rispetto ai fatti apparentemente incontestabili che obiettivamente lo accusano”. Lo ribadisce Antonio Ingroia scelto come legale difensivo dell’architetto arrestato con l’accusa di associazione mafiosa per aver prestato l’identità al boss Matteo Messina Denaro.

Ingroia, ex magistrato che in passato è stato in prima linea nella lotta alla mafia a Palermo, ha sottolineato anche: “Lo difenderò solo se il mio intervento potrà aiutare ad accertare la verità sulle coperture degli anni di latitanza di cui ha goduto lo stragista Matteo Messina Denaro. Con lo stesso spirito anni fa offrii pubblicamente e provocatoriamente la mia difesa a Matteo Messina Denaro”.

“Valuterò nei prossimi giorni”

Ed aggiunge: “Mi trovo all’estero e quindi non ho potuto finora interloquire con Gentile personalmente, ma in modo indiretto, attraverso il codifensore Michele Melchiorre, ho appreso da lui e dai suoi familiari che sarà in grado di fornire le spiegazioni che lo scagioneranno. Il dovere di un avvocato è di difendere comunque il proprio assistito, ma la coerenza con la mia storia e le mie idee mi impongono di difendere solo posizioni che ritengo difendibili. Quindi ribadisco che valuterò nei prossimi giorni se confermare con convinzione o rinunciare alla nomina sulla base delle spiegazioni che potrà dare Gentile e delle verifiche conseguenti che svolgerò con l’ausilio dei miei collaboratori”.

Chi è Massimo Gentile, l’architetto accusato di coprire il boss

Gestiva decine di progetti finanziati con il Pnrr Massimo Gentile, l’architetto siciliano residente a Limbiate, in provincia di Monza, arrestato mercoledì per associazione mafiosa. Avrebbe prestato a Messina Denaro la sua identità per avere falsi documenti consentendogli di acquistare un’auto e una moto. Parente del marito dell’amante storica del boss, Laura Bonafede, Gentile lavorava all’ufficio tecnico del Comune.

Secondo quanto accertato dai carabinieri Gentile, arrestato dai carabinieri nell’operazione, avrebbe ceduto al boss Messina Denaro la propria identità al “fine di fargli acquistare un’autovettura e un motociclo, sottoscrivere le relative polizze assicurative, compiere operazioni bancarie ed eludere i controlli delle forze dell’ordine” assicurandogli in questo modo “la possibilità di muoversi in stato di latitanza sul territorio e di contribuire a dirigere il sodalizio”.

L’inchiesta è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia, dall’aggiunto Paolo Guido e dai pm Gianluca De Leo e Piero Padova. Dalla cattura del boss, avvenuta il 16 gennaio del 2023, sono finite in manette 14 persone accusate di aver aiutato il capomafia ricercato. Quattro sono già state condannate.

A novembre 2014, quando era il latitante più ricercato del Paese, Matteo Messina Denaro andò personalmente prima da un concessionario auto di Palermo per acquistare una Fiat 500 e poi in banca a ritirare l’assegno da consegnare al rivenditore.

Il numero di telefono dell’incensurato

Il boss usò una falsa carta di identità intestata all’architetto Massimo Gentile, oggi arrestato per associazione mafiosa, e indicò come numero telefonico di riferimento per eventuali comunicazioni quello di Leonardo Gulotta, finito in cella per concorso esterno in associazione mafiosa. I fatti, che mostrano ancora una volta come il capomafia per anni abbia fatto una vita quasi normale, emergono dall’ultima indagine dei carabinieri del Ros coordinata dalla Dda di Palermo.

L’input all’inchiesta deriva da un appunto con scritto “10mila + 500 per Margot” trovato in casa del boss dopo la cattura. Margot era lo pseudonimo che Messina Denaro usava per indicare le sue auto nei pizzini o nei documenti. La caccia al veicolo ha portato i carabinieri a una concessionaria di Palermo dove è stata trovata la pratica dell’acquisto dell’autovettura con i documenti consegnati dall’acquirente, tra i quali la fotocopia della carta d’identità intestata a Gentile su cui era stata incollata la foto di Messina Denaro, prova che il boss era andato di persona ad acquistare la Fiat.

La carta d’identità falsa

Il documento, che portava la firma dal padrino, conteneva alcuni dati corrispondenti a quelli di Gentile e altri falsi: come l’indirizzo di residenza indicato in “via Bono”, non corrispondente a quello reale dell’architetto, e la data di scadenza. Per l’acquisito il capomafia ha versato 1.000 euro in contanti e 9.000 attraverso un assegno circolare emesso dalla filiale di Palermo dell’Unicredit di Corso Calatafimi.

Allo sportello, per ottenere l’assegno, ha esibito il falso documento, versato euro 9.000 cash e dichiarato che il Denaro era frutto della propria attività di commerciante di vestiti. Come recapito telefonico per le comunicazioni ancora una volta il boss ha lasciato il cellulare di Gulotta “una persona fidatissima e perfettamente informata di ciò che stava accadendo, poiché altrimenti chiunque altro ignaro della compravendita avrebbe, al primo contatto telefonico, allarmato la concessionaria e probabilmente messo a serio rischio la identificazione del latitante”, scrivono i pm.

L’auto, per tutto il periodo di utilizzo – tre anni – è stata assicurata a nome di Gentile e in almeno un anno le polizze, come hanno mostrato le comparazioni grafiche, hanno portato la firma di Messina Denaro. Dalle indagini è emerso anche che nel 2007 l’architetto ha acquistato per conto del boss una moto Bmw che sarà poi lo stesso Gentile a portare alla demolizione in una officina a cui si fa riferimento in un pizzino nascosto in una sedia, trovato a casa della sorella di Messina Denaro, Rosalia, dopo l’arresto del padrino.

Il veicolo, secondo i pm, usato dal padrino dal 2007 al 2015, è stato regolarmente revisionato e assicurato a nome di Gentile, che in una delle pratiche ha indicato come la falsa residenza di via Bono e dato come recapito sempre il numero di Gulotta. I bolli di moto e auto, infine, nel 2016 sono stati pagati l’uno a 40 secondi dall’altro in una tabaccheria di Campobello di Mazara dove, sette anni dopo, pochi giorni prima dell’arresto, il capomafia era andato a fare acquisti, come dimostra uno scontrino ritrovato dal Ros.

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