Per il procuratore generale di Palermo la sentenza di primo grado va confermata. E’ ripartito, davanti alla Corte di Assise di appello di Palermo, il processo a carico di Gaetano Rampello, 59 anni, poliziotto in servizio al reparto mobile della questura di Catania, che ha confessato l’omicidio, avvenuto con 14 colpi di pistola il primo febbraio del 2022 a Raffadali (Agrigento), del figlio ventiquattrenne Vincenzo.

Per il procuratore la sentenza è da confermare

I giudici della Corte di assise di Agrigento, presieduta da Wilma Angela Mazzara, lo scorso 31 gennaio lo hanno condannato a
21 anni di reclusione. Il pm Elenia Manno ne aveva chiesti 24. Gli stessi giudici, alcune settimane dopo, lo hanno scarcerato, sostituendo la misura con gli arresti domiciliari col braccialetto elettronico.

Il delitto

Rampello, secondo quanto lui stesso ha ammesso, dopo essere stato aggredito ha estratto l’arma e gli ha sparato alle spalle consegnandosi poi ai carabinieri a una fermata del bus. Dietro il delitto, anni di violenze e sopraffazioni da parte del
giovane al padre, alimentati dai problemi psichici del ragazzo. L’imputato dovrà risarcire l’ex moglie, l’ex cognato e l’ex
suocera che si sono costituiti parte civile con l’assistenza degli avvocati Alberto Agiato e Pietro Maragliano. Il 16 novembre sono in programma le arringhe di parte civile e quella del difensore dell’imputato, l’avvocato Daniela Posante.

La lettera dei familiari

La madre della vittima ha scritto una lettera, sottoscritta anche dallo zio Giuseppe e dalla nonna Francesca, consegnata ai suo avvocati in cui esprime fiducia nell’attività degli investigatori e si dicono “a disposizione per fornire ogni contributo utile affinché Gabriele possa avere giustizia. Non dirameranno nessun commento sul tragico evento nonché in merito al responsabile, perché questo lutto merita di essere rispettato con silenzio”.

“Nessuna ipotetica giustificazione”

Nessuna giustificazione per il gesto del poliziotto che ha spiegato agli investigatori come il gesto estremo, l’omicidio del figlio, sia maturato in seguito a continui dissapori legati alle continue richieste del giovane. L’ultima proprio il giorno dell’assassinio. “Nessuna ipotetica giustificazione potrà mai legittimare un padre che priva il figlio della propria vita”. Questo si legge nella lettera.

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