«Non mi batto per il detenuto eccellente, ma per la tutela della vita del diritto nei confronti del detenuto ignoto, alla vita del diritto per il diritto alla vita». Con la scomparsa di Marco Pannella, compianto e celebrato dal suo popolo e da molti altri, ritorna di prorompente attualità il dibattito sui diritti civili.

Aveva combattuto molte battaglie che hanno cambiato il volto del nostro Paese in nome di una libertà, di una “giustizia giusta”, da inseguire e perseguire fino a mortificare il proprio corpo, in nome di ideali che potessero andare al di là dell’altezza dell’uomo medio.

Più di due secoli fa fu proprio Thomas Paine (1737- 1809), politico inglese, grande intellettuale e filosofo idealista, ad affermare “Partecipare a due rivoluzioni è avere dato uno scopo alla vita”. E quanti scopi ha avuto allora Pannella? In occasione della scomparsa dell’eclettico leader dei Radicali, Vincenzo Fontana, dirigente scolastico di Naro (Ag), ha voluto esprimere alcune considerazioni in merito al dibattito sulla libertà nei paesi occidentali, in riferimento al suo nuovo saggio “Critica a Rights of Man di Thomas Paine”, appena uscito per Bonfirraro.

Il saggio è un’analisi puntuale del classico Rights of Man di Paine (1791-92) e ne fa emergere la straordinaria attualità del pensiero. Si constata infatti che Paine ha ancora un preciso valore e spazio all’interno della complessa questione sui diritti umani, con le sue riflessioni sul ritorno al soggetto – uomo, in una società caratterizzata sempre più dalla prepotenza di pochissime multinazionali, con il monopolio assoluto sui mercati, e dalla finanza, smodata e incontrollata, che contiene al suo interno tantissime sofferenze.

Fontana, perché questo ritorno a un antico interesse?

«Ho da sempre considerato Thomas Paine nella sua più urgente attualità, come costruttore di ponti per la rivoluzione mondiale. La sua modernità è sorprendente e mai come adesso si deve prendere spunto dalle sue istanze di rinnovamento per fornire le basi di una nuova costituzione occidentale.
Nato in Inghilterra nel 1737, Paine approdò in America nel 1774 su raccomandazione di Benjamin Franklin. Qui, due anni dopo, il suo pamphlet Common Sense divenne il manifesto della rivoluzione americana, “provocando – disse George Washington – un potente cambiamento nelle idee di molti uomini.” Nel 1787 andò in Francia per promuovere il suo progetto di costruzione di un ponte di ferro, che fu approvato dall’Accademia delle Scienze. Si recò poi in Inghilterra e qui ‘si tenne in corrispondenza con Thomas Jefferson, ministro americano a Parigi’.
Nel 1789 ritornò in Francia, dove ‘contribuì alla stesura della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino’. Il 16 ottobre indirizzò al Presidente Washington la celebre affermazione: “Avere partecipato a due rivoluzioni significa avere dato uno scopo alla propria vita”.
Nel 1791-92 scrisse Rights of Man in difesa della Rivoluzione francese, che considerò ‘la continuazione di quella americana, per il fine ultimo della rivoluzione mondiale’. Un classico, insomma, in tutti i suoi aspetti».

L’uomo: individuo astratto o prodotto dei rapporti di produzione. Come Paine risolve l’antica dicotomia?

«Partire da un concetto religioso, deista, di rapporto con Dio, implica una necessità individualistica. Questo ‘patto’ metastorico si configura come il principio fondamentale del giusnaturalismo moderno: i diritti della “Dichiarazione” del 1789 (libertà, proprietà, uguaglianza) spettano all’individuo indipendentemente da qualsiasi rapporto sociale. L’Uomo o individuo astratto e il suo primato sulla comunità costituisce il limite di fatto e concettuale dell’elaborazione di Paine, cioè, l’incapacità di vedere l’uomo come un prodotto storico di determinati rapporti di produzione».

Quali i diritti dell’uomo secondo Paine e secondo Fontana?

«Per Paine, gli uomini sono uguali nei diritti naturali (natural rights) ma non in quelli civili (civil rights); o meglio, sono uguali nel momento della loro nascita ma le susseguenti differenze basate sulla capacità costituiscono l’essenza dei diritti civili, i quali, seppur diversi, non devono inficiare i diritti naturali.
Per quanto mi riguarda, i diritti dell’uomo non sono né il solo diritto ad avere libertà di parola, né il solo diritto di libertà economica, nel senso di libertà dal bisogno: l’una senza l’altra non esistono. Per questi motivi, riteniamo che la questione dei diritti dell’uomo in generale sia ancora oggi il più grande problema del nostro tempo».

Il saggio esprime due diversi modelli di società: può brevemente indicarceli?

«Scrive Marx nel Capitale: ‘Il signor Peel si è portato dall’Inghilterra allo Swan River, nella Nuova Olanda, mezzi di sussistenza e di produzione per una somma di 50.00 sterline. Il signor Peel ebbe la previdenza di portare con sé, tra l’altro, 3.000 persone della classe lavoratrice, uomini, donne, bambini. Giunto a destinazione, il signor Peel restò senza un servo per accomodargli il letto e per prendere l’acqua dal fiume. Povero signor Peel, che tutto aveva previsto, tranne che d’esportare nello Swan River i rapporti di produzione inglesi!’.
La mia domanda personale a Thomas Paine sorge spontanea: perché in America il signor Peel restò senza operai? Proviamo a rispondere: evidentemente perché in America tutti avevano l’opportunità di diventare padroni delle proprie condizioni di lavoro, acquisendo e gestendo in prima persona le terre, vendendo il prodotto del proprio lavoro, diventando “farmers”. L’errore, per così dire, in cui Paine incappò consisteva nel pensare che la Rivoluzione francese e il superamento in Europa del vecchio regime, fatto di classi sociali con privilegi medievali, portasse al modello di società americana».

Uno degli argomenti cardine per un dibattito sulla libertà è da sempre quello della terra: come si definiscono i diritti all’esproprio e al possesso?

«Un limite di Thomas Paine fu quello di considerare la terra come bene primario, senza rendersi conto che egli stava vivendo gli inizi della rivoluzione industriale.
Negli scritti americani, Paine accetta la posizione di Locke, che giustifica il diritto di appropriarsi della terra oltre i limiti perché, a suo dire, aumenta il prodotto della stessa, e, pertanto, la disuguaglianza è condizione di progresso. In Agrarian justice arriva ad individuare nella proprietà della terra il male maggiore per la povertà di tanta gente. Ma non arriva a pensare ad una sua eventuale redistribuzione, poiché considera che il titolo di proprietà resta sempre legittimo. Anche in quest’opera, l’ideale di Paine resta legato alla piccola proprietà fondata sul lavoro personale; ma, secondo lui, la proprietà deve essere corretta, moderata e soprattutto diffusa».

Quale l’idea di Paine in merito alla tassazione della proprietà e allo Stato sociale?

«Mediante una severa riduzione delle spese che considerava inutili e una forte tassa progressiva sulla proprietà fondiaria e sulla successione, Paine propose di finanziare l’assistenza diretta, sotto forma di sussidi annuali e di pensioni, alle famiglie numerose per l’istruzione dei figli, ai disoccupati, ai contadini, agli operai, ai marinai, ai soldati, ai domestici, ai vecchi e alle vedove».

Un pensiero davvero moderno. È così anche sulla questione costituzionale?

«L’attualità e l’importanza del pensiero di Paine si dimostrano nei capitoli della seconda Parte di Rights of Man, dove si parla delle Costituzioni e dei Governi. Secondo Paine, le leggi sono emanate dal popolo che si costituisce in Assemblea (legislativa o Costituente), la quale elegge il governo.
Per Paine, la Costituzione, fatta dal popolo mediante la Convenzione, contiene le leggi entro cui si può legiferare e formare un governo, e contiene, altresì, le leggi che permettono di modificare e migliorare la stessa Costituzione».

Quali i limiti politici di Paine?

«Se un critico letterario come Henry Collins afferma che Paine si affacciò alla “soglia del socialismo” senza mai varcarla, individuare le ragioni di ciò significa capire i limiti della elaborazione politico-filosofica del diciottesimo secolo, nel quale il capitalismo trionfa e pone le basi per una egemonia economica e culturale per i secoli a venire. Probabilmente, trovandosi all’inizio della rivoluzione industriale in Europa, nessuno era in grado di cogliere gli aspetti salienti, né gli effetti, che questa avrebbe prodotto, come il depauperamento e la proletarizzazione anche delle middle classes, che, se intuita, avrebbe perlomeno allarmato i pensatori liberali dell’epoca. L’alternativa da me proposta, in ottemperanza con i dettami dell’intellettuale inglese, sarebbe costruire un modello di società, si chiami socialista o come si vuole, in cui le libertà e i diritti dell’uomo, individuali e sociali, siano tutti realizzati, una società, insomma, nella quale i diritti civili corrispondano ai diritti naturali».

In quale modo il modello di etica e politica è rivisto secondo l’egemonia gramsciana?

«Lo sviluppo della società americana procedeva più su base etica che politica, mentre in Europa, con l’industrializzazione di massa e la sottomissione a lavoratore salariato di larghi settori sociali, la società si sviluppava sul conflitto politico non essendo possibile per i borghesi e i proletari condividere la stessa base etica. I concetti di etica e politica rimandano al concetto di egemonia culturale, atteso che un grande pensatore come Gramsci elaborò una teoria di egemonia culturale del proletariato alternativa a quella borghese, avendo rilevato che l’egemonia borghese era più radicata di quanto si potesse immaginare. La questione della loro mancata coniugazione è ancora oggi aperta».

Di struggente e scottante attualità, il dibattito sul lavoro. Cosa scriveva in merito Paine?

«Paine capì la necessità [dei sindacati] quando scrisse: “Esistono parecchie leggi che regolano e limitano i salari degli operai. Perché non lasciarli liberi di fare i loro affari come il legislatore è libero di lasciare la propria fattoria o la propria casa? Il lavoro personale è tutta la proprietà che hanno”».

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