Giovanni Pizzo

Ex assessore della Regione Siciliana, scrivo su vari quotidiani. Laureato in economia e commercio

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Parafrasando un vecchio capolavoro di Billy Wilder, con Tony Curtis, Jack Lemmon, e sua moglie Marylin Monroe, a qualcuno, anche in Sicilia, piace Carlo, piuttosto che caldo. Parliamo di Carlo Calenda che a Palermo torna sul luogo del delitto. Quale? La Tormentata Regione Siciliana, rea di dissipare l’isola e la sua onestà, morale e spesso anche intellettuale. Ormai il senatore e fondatore di Azione ha per la Sicilia un vero pallino, nonostante non si sia visto molto da queste parti, proprio la circoscrizione che lo ha mandato in Parlamento. Addita alla Sicilia, in quanto sistema politico, svariate colpe, brutti indicatori in termini di servizi, voti segreti per le norme di bilancio, mercimoni parlamentari, qui si chiamano manciugghie, clientelismo a gò gò. C’è qualcosa di non vero in tutto questo? Assolutamente no, tutto vero, con tanto di resoconti e cronache giornalistiche. E chi legittimamente critica Calenda dovrebbe difendere l’onore dell’isola approvando riforme che cambino per i cittadini le carenze e le impudicizie evocate. Poi però c’è un di più, Calenda critica ad personam, non tanto i sistemi, ma le persone scelte dal governo regionale. Al di là che le scelte in politica sono sempre fiduciarie, ma se vediamo le sue scelte di classe dirigente sembra che non ne azzecchi una. Nell’ordine ha scelto Armao alla presidenza della Regione, Castiglione a deputato nazionale in rappresentanza della Sicilia orientale, e Ferrandelli a sindaco di Palermo. Di tutti questi non gliene rimasto neppure uno. La capacità di selezionare una classe dirigente è uno dei principali compiti e saperi di un leader, sia che sia aziendale o politico. E questa difficoltà nello scegliersi i dirigenti locali per Calenda non si manifesta solo in Sicilia, ma anche in altre regioni. Tanto è vero che la sua soluzione è abolirle le Regioni, anche se sa un po’ di volpe e uva. Ma perché i ceti dirigenti abbandonano Calenda, uno che comunque ha uno spicchio di opinione pubblica?

C’entrano mica le sue continue giravolte di campo e alleanze? C’entra la sua scarsa capacità di coalizzarsi sul piano locale e nazionale, quello non mi piace e quindi non ci sto, il suo mantra abituale? La politica si fa creando inclusione, mentre Calenda sembra il proprietario di un club esclusivo, come un circolo del tennis con un proprietario e senza soci votanti. Il suo ragionamento è chiaro, la star televisiva sono io, io il social media manager, io il front man in Parlamento, per cui posso pure stare solo, finché i singoli elettori mi votano, io ipertrofico a prescindere. Sembra di vedere il Pri di La Malfa o il Pli di Malagodi. Partiti da percentuali simili alle sue. Solo che avevano scelto, senza cambiare campo, un sistema politico, quello del pentapartito intorno alla DC, non cambiavano ogni due per tre, litigavano poco e tentavano di esprimere pochi concentrati concetti, a differenza di Calenda che sembra tuttologo. L’unica sua esperienza ministeriale gliela fatta fare Renzi, la persona con cui certamente non è stato né grato né tenero.

Ma a parte sua moglie o forse sua madre, la regista Comencini, sembra che Calenda non sia particolarmente tenero con nessuno, sarà per carattere o per scelta strategica, ma ha un tasso di polemica con chiunque che rasenta il parossismo. Oggi si è scelto come bersaglio, che sa di Crocerossa, la Sicilia, domani chissà, forse il Molise, magari dimostrerà che non esiste. Finché piace a mia madre, speriamo pure alla sua, tutto a posto.

 

 

 

 

 

 

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