Walter Giannò
Smonto narrazioni, rovescio retoriche, salto a piè pari la censura del buonismo. Scrivo quello che altri evitano di pensare.
No, il punto non è che sia stato invitato a un podcast il figlio di Totò Riina, il capo del terrorismo mafioso. Il vero problema è il modo in cui è stato intervistato.
Al netto delle scuse arrivate dopo il clamore mediatico, ciò che ha indignato è stato l’approccio degli speaker de Lo Sperone Podcast: ossequioso, rispettoso, edulcorato. Perché il rischio è sempre lo stesso: quando l’intervistatore non ha gli strumenti o il coraggio, l’interlocutore con alle spalle una storia criminale evidente finisce per trasformarsi in un ospite da chiacchierata tra amici al bar.
Le interviste scomode non sono per tutti
Le interviste “scomode” non si improvvisano. Richiedono preparazione, carattere, visione. Altrimenti il risultato è una passerella che finisce col dare dignità a chi nel ‘curriculum’ non ne ha.
E qui, inevitabilmente, bisogna evocare una divinità del giornalismo italiano: Oriana Fallaci.
Il suo stile resta un modello:
- Incisivo e diretto: mai giri di parole, domande secche, senza paura di mettere in difficoltà.
- Irriverente: nessuna deferenza verso i potenti, nemmeno dittatori e capi di Stato.
- Personale: inseriva se stessa, le sue reazioni, la sua visione.
- Narrativo: trasformava l’intervista in un racconto con ritmo e tensione.
- Aggressivo e spiazzante: destabilizzava l’interlocutore per far emergere verità e contraddizioni.
Come non ricordare le sue storiche interviste a Kissinger, Golda Meir, Arafat, Gheddafi, Khomeini, Indira Gandhi. Memorabile quella del 1979 all’Ayatollah Khomeini. L’incontro avvenne a Teheran, subito dopo la rivoluzione iraniana. Le imposero di indossare il chador, ma lei: “Questo cencio medievale non fa per me”. Khomeini si alzò infuriato per andarsene, ma lei lo richiamò e lui tornò a sedersi: un episodio rimasto nella storia del giornalismo.
L’utilità pubblica, non lo spettacolo
Un’intervista al figlio di Riina avrebbe potuto avere un senso se costruita in un contesto informativo serio, senza peli sulla lingua, con l’obiettivo di offrire al pubblico una riflessione sociologica sul rapporto tra padre e figlio in una famiglia segnata da una storia criminale che ha compromesso il progresso civile, sociale ed economico della Sicilia.
Ma così non è stato.
Con i social media (che il sottoscritto adora, non solo perché ci lavoro), oggi, chiunque può improvvisarsi blogger e/o giornalista: bastano un microfono, un po’ di dimestichezza tecnica e qualche soldo per la promozione. Ma la qualità è un’altra cosa. Significa rispetto per il lettore, per l’ascoltatore, per lo spettatore. Soprattutto, in questo caso, rispetto per le vittime di mafia, che non possono essere calpestate da un approccio leggero e compiacente.
Perché il giornalismo vero non edulcora, non coccola, non assolve. Il giornalismo vero incalza.
Questo contenuto è stato disposto da un utente della community di BlogSicilia, collaboratore, ufficio stampa, giornalista, editor o lettore del nostro giornale. Il responsabile della pubblicazione è esclusivamente il suo autore. Se hai richieste di approfondimento o di rettifica ed ogni altra osservazione su questo contenuto non esitare a contattare la redazione o il nostro community manager.


Commenta con Facebook