Giusi Patti Holmes

Sono Giusi Patti Holmes, giornalista, scrittrice e, soprattutto, un affollato condominio di donne, bizzarre e diversissime tra loro, che mi coabitano. Il mio motto è: "Amunì, seguitemi".

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Oggi voglio raccontarvi una storia. Siamo nel 1967 e Israele, dopo la “Guerra dei sei giorni”, prendendo il controllo della Cisgiordania, di Gaza e annettendo Gerusalemme Est, rende reato penale l’esposizione pubblica della bandiera palestinese. Il popolo, privato del simbolo della loro identità, per aggirare il divieto, inizia a esporre l’anguria perché con i suoi colori, il verde della buccia, il rosso della polpa, il bianco della parte intermedia e i semi neri, la riproduceva perfettamente. Solo nel 1993, dopo la firma degli “Accordi di Oslo”, fra Israele e l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), l’assurdo divieto viene revocato. 

Sì, avete capito bene, per 26 anni i palestinesi sono stati privati del diritto di mostrare la loro bandiera. Un rapporto del New York Times, dell’ottobre dello stesso anno, fece un breve accenno agli arresti legati all’esibizione della frutta, sostituto simbolico della bandiera: “Nella Striscia di Gaza, dove una volta i giovani che trasportavano   fette di anguria – mostrando così i colori palestinesi rosso, nero e verde – venivano arrestati, i soldati stanno a guardare, mentre le processioni marciano sventolando la bandiera una volta vietata”. Il giornale, però, in seguito ritrattò, affermando che non poteva confermare quanto scritto.

Gallery 79

Un’altra versione della stessa storia coinvolge gli artisti Sliman Mansour, Nabil Anani e Issam Badr, la cui mostra alla Gallery 79 a Ramallah, nel 1980,  fu chiusa dall’esercito israeliano perché  considerata politica, in quanto comprendeva molte opere con la bandiera palestinese e i suoi colori. Due settimane dopo i tre giovani furono convocati e avvertiti di smetterla con la propaganda e di dipingere, piuttosto, dei fiori, al che Issam Badr, disse: “E se facessi un fiore rosso, verde, nero e bianco?” La risposta che ne seguì fu che il dipinto sarebbe stato confiscato anche se il soggetto fosse stato un’anguria. Quindi, secondo Sliman Mansour, oggi 78enne, l’idea era partita, anche se involontariamente, da un ufficiale israeliano.

L’ emoji dell’anguria 

L’emoji dell’anguria, sulla tastiera dello smartphone dal 2015, ha iniziato ad accompagnare post sulla cultura, sullo sport e sulla politica palestinese. Il suo valore simbolico, cresciuto nel 2021, ha toccato l’apice dopo il vile e feroce attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023, con 1194 morti e 250 ostaggi, a cui  Israele ha risposto con altrettanta disumanità, provocando circa 65 mila morti, di cui 20 mila bambini in 23 mesi. 

Conclusioni 

Vi pongo una domanda: “Secondo voi privare un popolo della sua bandiera non è volerlo disumanizzare, cancellarne cultura e passato?” Io, come le angurie che crescono in Medio Oriente da secoli, auguro al popolo palestinese, che non è un popolo di “troppo”, ma parte della nostra stessa famiglia umana, di vedere non solo riconosciuto, ma realizzato, nella propria terra, lo Stato di Palestina.

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