Giovanni Pizzo

Ex assessore della Regione Siciliana, scrivo su vari quotidiani. Laureato in economia e commercio

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Non parliamo della famosa turista che piange di nostalgia dopo aver fatto con il suo tour operator un viaggio nell’ammaliante Sicilia, ma di coloro che per sventura hanno o sentono di avere una malattia in Sicilia. Quest’isola viaggia nel pianeta Salute senza un modello, con tutti I limiti che possono avere i modelli, che abbisognano di strategie e programmazione. Non ha puntato sul modello tosco-emiliano, con grande attenzione alla medicina territoriale, a grande trazione pubblica, pur con presenza di strutture convenzionate private. E nemmeno sul modello lombardo, con un apporto di servizi ai cittadini fifty fifty tra pubblico e privato, spesso in competizione tra loro sull’eccellenza, tanto da attrarre con una forte tendenza ospedalocentrica. Agli inizi del 2000 ci fu un tentativo di andare verso il modello lombardo, durante gli inizi del governo Cuffaro, che aveva collegamenti politici con il governatore Formigoni, vennero in Sicilia il San Raffaele e la Fondazione Maugeri. In quegli anni, grazie anche ad una legge regionale precedentemente approvata, si accreditamento strutture, anche siciliane come investimenti, di alta specialità, come La Maddalena, lo IOM, la Morgagni, l’IRCS di Troina. Anche i laboratori o gli ambulatori più avanzati convenzionati, come Locorotondo a Palermo o Gibino a Catania, aumentarono gli investimenti in tecnologia e risorse umane. Per investire in operatori sanitari di livello e innovare il patrimonio tecnologico ci vogliono budget adeguati, in caso contrario si tende ad una sanità di serie B, di sufficienza limitata nel migliore dei casi. Ma quella tendenza di circa 20 anni e passa fa sembra che non solo si sia fermata, ma invertita. Non vedendo più un conforto di strategia sanitaria si sono fermati gli investimenti privati, a parte, chissà perché, l’Umanitas di Catania che fece rischiare una crisi regionale nel governo Crocetta. 

Piccolo e bello quando fai scarpe, quando devi competere in innovazione e soprattutto, vedi crisi di medici e concorsi vuoti negli ospedali, nel ristretto mercato delle risorse umane qualificate piccolo non è bello per niente. Per cui la concentrazione, anche in ambito pubblico, è necessaria, pur non abbandonando il territorio, con servizi più flessibili e congrui in termini di risposte e sicurezza nelle cure. È inutile e pericoloso un ricovero in una struttura non adeguata alla patologia ed alle sue complicanze. In America c’è una struttura ospedaliera ogni 200 km in Sicilia ogni 28 di media, ci sono ospedali a meno di 7 km, vedi Partinico ed Alcamo o Milazzo e Barcellona, con conseguenti carenze di personale ed attrezzature. La Sanità in Sicilia è malata di una inadeguata cultura campanilistica, se per caso hai un deputato influente nato in un paese puoi forse aspirare ad un ospedale o una casa di comunità, anche se ad oggi non ne abbiamo vista una. Il presidente Schifani, al di là del suo governo, ha una forte attenzione personale al tema, ma in continuità con i governi precedenti sembra che non si riescano ad adottare scelte identificative, se non un modello autonomo di riferimento. 

Questo comporta reparti disfunzionali e liste di attesa. Anche il privato convenzionato soffre della stessa malattia della sanità pubblica, la quale è uno strumento che non consente concentrazioni di servizi, che migliorano organizzazioni e budget, selezione delle risorse umane e tecnologie. Ma invece è tutto parcellizzato, a pioggia, on demand del clientes politico, senza scelte di modello funzionale per i cittadini, tanti professionisti sparpagliati sul territorio con budget asfittici, quindi poco utili ai cittadini, per dare risposte di qualità. Che spesso si esauriscono dopo l’estate, come quelli che non arrivano con lo stipendio alla fine del mese. Si deve ricordare che la Sicilia ha un quarto della popolazione, cosa non indifferente, in condizioni di povertà. È ovvio che sotto Natale quando si innalza il picco di richiesta di cure, gli ospedali, i pronto soccorso, vadano in tilt e le liste di attesa sono da Italia di serie C, con i malati, spesso anziani, nelle lettighe in corridoio.

Un modello, con una strategia ed una programmazione vera e pluriennale, va scelto, e l’invecchiamento della popolazione siciliana, al pari di altre regioni, lo pretende in maniera non più rinviabile. Chiunque sia il titolare della delega sanitaria non è facendo lottizzazioni di primariati e pannicelli caldi che potrà affrontare la marea di problematiche del sistema salute. Vanno fatte delle scelte di sistema prima di un default prossimo venturo.

 

 

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