Mauro Billetta

Frate Cappuccino parroco di Danisinni a Palermo

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Il silenzio coniugato all’indifferenza è stato proposto come criterio di pacificazione interiore e di tranquillità per garantirsi giorni felici.

Questo mito frutto della comfort culture dei nostri giorni in realtà pare sgretolarsi perché l’evitamento delle situazioni critiche e dell’assunzione di responsabilità di fronte alle sfide della vita, di fatto, sta spegnendo molti privando della passione esistenziale.

Eppure a fronte del vile genocidio che si sta compiendo nella Striscia di Gaza finalmente si è innescato un processo di risveglio e di ribellione alla diffusa proposta di rassegnazione o di giustificazione di un atto così violentemente estremo.

La gente ha deciso di parlare piuttosto che rimanere in silenzio ed è così che sta prendendo campo un movimento di disobbedienza civile il quale cresce di giorno in giorno al fine di arrestare lo sterminio del popolo palestinese.

L’interesse per l’oppresso sta soppiantando l’equilibrio agiato dei salotti e l’inquietudine sta finalmente destabilizzando i compromessi dei più moderati. Risuona sempre più nel mondo il bisogno di giustizia sociale e il riconoscere propria la causa dei più deboli.

Ancora c’è molta strada da fare per avere risonanze collettive che possano trovarci tutti sensibili alle cause del bene ma è già un primo passo che procura speranza. Testimonia, cioè, che la parte più nobile e spirituale dell’essere umano non è definitivamente seppellita e che è possibile risvegliare le profondità dell’anima.

Quando si rimane in ascolto a ciascuno è dato di recuperare la capacità di discernimento fino a decidere di trasgredire l’ordine delle leggi o delle tendenze di turno per difendere la dignità degli oppressi e restituire volto a chi è stato negato.

È il richiamo che ha mosso i pescatori di Mazara del Vallo nel soccorrere i naufraghi anche a rischio di essere denunciati e ricevere il fermo amministrativo dell’imbarcazione così come accade per le navi umanitarie che rimangono a pattugliare il Mediterraneo e sbarcare i profughi feriti nei porti più vicini anziché andare a centinaia di miglia più distanti. Lo stesso richiamo che ha mosso gli equipaggi della Global Sumud Flotilla salpati verso Gaza e di quanti sono rimasti a sostenerli dalla terra ferma.

Sta accadendo qualcosa di importante che può farci recuperare il tratto di umanità che sembrava smarrito nei meandri dell’individualismo frutto della promessa di emancipazione centrata su se stessi.

Osservando i processi culturali l’occidente ha aderito al mito del desiderio quale chiave ermeneutica della realtà. Ciascuno spinto a riconoscere ed esprimere il proprio desiderio, è finito col negare il volto dell’altro perché il proprio appagamento è diventato direzione e senso di vita.

Una premessa rischiosa che ha frammentato i rapporti umani fino ad oggettificarli in vista della propria soddisfazione.

Il Vangelo di questa domenica (Lc 14, 25-33) offre un orizzonte differente dove l’io non è punto di partenza. Gesù chiede un primato ai suoi discepoli come ad indicare loro che bisogna uscire fuori dalla dipendenza relazionale per creare connessioni e legami profondamente liberi e per questo saldi.

Quando l’esistenza è percepita in funzione dello sguardo altrui allora tutto si organizza secondo un criterio di merito e di ricerca di plausi e riconoscimenti. Questa condizione ora idealizza l’altro oppure lo svaluta fino a sottometterlo per ergersi al di sopra. Si finisce, così, in un gioco di sguardi corrotto dal mendicare reciprocamente il permesso di esserci.

Il Maestro invita a ripartire dalla relazione con il Padre e non secondo una dimensione religiosa che teme il giudizio dall’alto ma secondo la prospettiva della fede che accoglie l’amore gratuito di Dio che si china sull’umanità tutta. Percepire l’esistenza personale come un dono apre alla gratitudine e alla meraviglia per l’amore gratuito che ci fa vivere.

L’esserci non è calcolabile e le garanzie per una esistenza felice non sono date dal soddisfacimento condizionato dall’altro. Mosso dalla gratitudine il desiderio si apre alla coordinata della gratuità, del dono senza pretendere nulla in cambio.

Il segno della precarietà e fragilità esistenziale, allora non farà più paura perché quel che siamo è già capace d’amore e l’amore non funziona secondo i parametri dell’efficienza ma del consumarsi sino alla fine.

Mi commuove, a riguardo, la scelta fatta dai religiosi e religiose che stanno a Gaza City i quali resteranno lì disobbedendo all’intimazione a evacuare la città da parte dell’esercito israeliano. Questo significherebbe abbandonare i più fragili che certo non possono affrontare in quelle condizioni di gravissimi stenti giorni di cammino, per salvare la propria vita.

La priorità non è data più a ciò che è conveniente ma al dono che ci viene dal Cielo. Secondo questo criterio è possibile essere costruttori di pace “disarmata e disarmante” come ripete papa Leone XIV e cioè aperta al dialogo senza alcuna forma di violenza e dunque capace di trasformare la durezza del cuore in opportunità per ritessere trame di umanità.

Come, altrimenti, si potrebbe arrivare ad una riconciliazione? La vendetta non lascerebbe spazio al perdono e continuerebbe a coltivare orditi di guerra…


Luogo: PALERMO, PALERMO, SICILIA

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