Giovanni Pizzo
Ex assessore della Regione Siciliana, scrivo su vari quotidiani. Laureato in economia e commercio
La rivelazione a mezzo stampa di un avvicinamento degli autonomisti a FI è non solo logico ma auspicabile. Vediamo le ragioni di questo posizionamento politico. Mentre in Italia settentrionale l’autonomismo, fortemente rivendicato in questa legislatura dalla Lega tradizionalista, stenta a diventare norma reale sul territorio, in Sicilia sempre di più risalta il moderatismo politico, che a conti fatti ha la maggioranza relativa dei voti espressi alle ultime regionali. Se vediamo i voti di FI, dell’ex democristiano Lombardo, di Cuffaro e dei residui dell’Udc, se a questi aggiungiamo i voti dei centristi del terzo polo alle regionali scorse, i moderati erano e sono dai risultati delle europee, la maggioranza relativa, per cui con l’attuale legge elettorale potrebbero andare da soli e vincere. Non lo fanno perché c’è una coalizione ad oggi unitaria nel paese, di centrodestra. Ma la stessa coalizione si è scissa a Strasburgo proprio recentemente su argomenti dirimenti di natura internazionale, quale l’adesione dell’Ucraina alla UE. E sempre più i temi internazionali condizioneranno il dibattito politico in Italia. In questo scenario il regionalismo, anche quello in salsa sicula, avrà sempre meno ragione di essere, e si dovranno affrontare le questioni, anche quelle legate alla Sicilia, con strumenti politici nazionali. Da qui il rafforzamento di FI in Sicilia con l’apporto di Lombardo. È ovvio che questo eventuale passaggio non è nuovo, e segue il voto dato all’ex partito di Berlusconi dagli autonomisti alle europee, senza esprimere un candidato ma votando la capolista Caterina Chinnici, ex assessore proprio del governo Lombardo e scelta da Tajani. Non si tratta di un’OPA ostile, evidentemente, ma di un accordo, se si parla di tesseramento, trattato con Tajani ed i vertici nazionali. Questo ha delle refluenze sul congresso regionale di FI, pertanto la discussione con Schifani, non solo nella veste di Presidente della Regione, ma di nume tutelare dell’attuale coordinamento, è logica conseguenza politica.
Ovviamente ci potrebbero essere malumori, ma è nella natura di un partito, se vuole governare, essere inclusivi e non esclusivi come un circolo del tennis. Soprattutto a livello regionale si ottengono buoni risultati amministrativi se c’è un forte partito guida, oltre ad un buon governatore, vedi gli esempi di Veneto, Emilia, Lombardia e Toscana. Al di là del segno politico queste amministrazioni sono caratterizzate da omogeneità, e non da frammentazione, che quasi sempre dissipa, se non blocca, l’azione amministrativa, aumentando i costi della politica, il mercimonio, e diminuendo la qualità della legislazione. È impensabile che buoni livelli di amministrazione si possano ottenere senza un partito che si avvicini al 30%, e che riduca i margini di intermediazione spesso estenuanti e defaticanti. L’unica forza che può, in entrambi i campi, ambire a questi risultati, e quindi a questo ruolo, pur nel pluralismo interno, è in Sicilia solo FI, visto che la crescita del partito della Meloni stentava già prima delle vicende di cronaca e delle diatribe interne, che hanno costretto Via della Scrofa a commissariare il partito siciliano. Sarebbe logico, e semplificante il quadro politico, se anche altri seguissero l’esempio del catanese Lombardo, aggiungendo magari altri pezzi di territorio, comunità ed esperienze politiche, ad un’idea moderata e costruttiva della politica.
Di questo avrebbe bisogno la Sicilia, anche nel campo avverso ovviamente , perché se il pluralismo di idee è una ricchezza, il frazionismo di contenitori politici costruisce solo feudalesimo e leadership fragili, giganti di argilla o cartonati della politica. Lo slogan dovrebbe essere più idee e meno bandiere, gli sbandieratori vanno bene per le sagre paesane, ma non per gestire una comunità di quasi 5 mln di persone, in mezzo al Mediterraneo, che ha bisogno di contare sul panorama nazionale ed europeo, visto il suo ruolo strategico svenduto per un piatto di lenticchie o una gita di paese all’estero. Quindi fanno benissimo Schifani e Lombardo a stipulare un accordo strategico su politica e contenitore politico. Poi le questioni relative a candidature, ruoli, rimpasti, sono conseguenziali. Prima si deve definire la base dell’inclusione politica. E di questo, se ci riescono Schifani e Lombardo, ne gioverà l’intero sistema, che dovrà fare scelte analoghe di semplificazione. Più la politica è semplice più è buona. Quando è complicata serve solo a chi la complica, non certamente agli elettori/cittadini.
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