Toto Cuffaro

Sono un nonno che ama la politica e la vita

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Ci sono momenti nella storia in cui le parole rischiano di essere assai piccine di fronte al dolore degli uomini. Ecco, Il conflitto tra Israele e Palestina è uno di quei momenti. Non discutiamo soltanto di geopolitica, ma di vite, di bambini che non cresceranno, di madri che non smetteranno di piangere, di popoli interi che da decenni guardano increduli e impauriti la loro speranza calpestata dalla violenza. Per questo, con onestà e senza infingimenti, dobbiamo dire che Hamas è il primo nemico della pace. 

Lo è per il massacro del 7 ottobre 2023, che resterà una ferita incancellabile nella coscienza dell’umanità, e lo è per la sua stessa natura: un’organizzazione che non difende il popolo palestinese, ma lo usa, lo sacrifica, lo opprime. Hamas governa Gaza come una mafia: sottrae i beni, soffoca le libertà, educa i bambini alla morte e non alla vita. Non è resistenza, è barbarie. Oggi però siamo chiamati ad un momento di verità ancora più profondo, doloroso, e non possiamo tacere di fronte alle sofferenze inflitte al popolo palestinese dall’uso sproporzionato della forza israeliana. Non si può travestire la vendetta da legittima difesa per lasciarla passare inosservata e la sicurezza non può e non deve diventare punizione collettiva. Ogni bomba che cade su una casa innocente, ogni bambino che muore sotto le macerie, non cancella la violenza subita, ma aggiunge dolore a dolore. 

E il dolore, quando non viene sanato, diventa odio che si tramanda. Non c’è pace vera senza la giustizia di una doppia condanna: del terrorismo e dell’abuso, dell’odio cieco e della forza cieca. Solo così può nascere la speranza di uno Stato palestinese libero accanto a Israele, in una convivenza che oggi appare lontana ma che domani può e deve essere possibile. Da uomo cresciuto nella tradizione della Democrazia Cristiana, sento che questa non è solo una questione politica. È una questione profondamente umana e spirituale. La vera grandezza sta nell’impegno di chi costruisce la pace, perché è in quell’impegno che si custodisce la dignità stessa dell’umanità. La politica, se vuole essere fedele a sé stessa, deve diventare strumento di riconciliazione, mano tesa, custodia della vita. Ogni bambino israeliano o palestinese che muore è un grido che sale al cielo e ci interroga: dov’è l’uomo, dov’è la sua coscienza? Ogni madre che piange un figlio ci dice che la pace non è un lusso per i potenti, ma un diritto per i poveri e per gli innocenti. Per questo la mia posizione è radicale e definitiva: mai con i carnefici, mai con chi umilia la dignità umana. Sempre con chi costruisce ponti, con chi difende la vita, con chi cerca la pace nella verità e nella giustizia. 

Se il futuro deve avere un volto, che sia quello dei bambini che ridono, non quello dei bambini che muoiono. Che sia quello di mani che si stringono, non di mani che lanciano pietre o armi. La pace non è un dono astratto: è responsabilità concreta di ciascuno di noi, ed è la più grande eredità che possiamo lasciare al mondo. 

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