Non riesce a trovare pace la famiglia di Aldo Naro, in giovane medico originario di San Cataldo, che 8 anni morì in seguito a una rissa scoppiata nella discoteca Goa di Palermo. Sono due i processi ancora in corso per la sua tragica morte ma la famiglia non ha ancora trovato una spiegazione plausibile – se mai ce ne fosse – per la morte del proprio familiare, un giovane promettente, appena diventato medico. A uccidere Aldo Naro, il giovane medico di 24 anni morto il 14 febbraio del 2015 nella discoteca Goa, non sarebbe stato un solo calcio alla testa, ma numerosi colpi ricevuti da più aggressori. L’anno scorso, grazie a nuove indagini e nuove perizie, una riesumazione del cadavere e una nuova autopsia il gup del Tribunale di Palermo Rosario Gioia ha rinviato a giudizio con l’accusa di omicidio volontario in concorso Gabriele Citarella, Francesco Troia e Pietro Covello, tre buttafuori della discoteca dello Zen.
La straziante lettera
Straziante e commovente è una lettera inviata dalla famiglia, come se a parlare fosse Aldo. Una lettera che cela i dubbi nutriti dai familiari del giovane medico sui responsabili della violenza e la denuncia di procedimenti giudiziari spesso troppo lunghi e farraginosi per giungere ad un briciolo di Giustizia e Verità. La lettera si apre sulle speranze di un giovane appena diventato medico dopo tanti sacrifici. “Ciao, io sono Aldo Naro, sono un medico chirurgo abilitato alla professione. Ho sacrificato tutto per diventarlo, ho sacrificato me stesso per esserlo meglio di come avrei potuto. Ho studiato, tanto. Ho dormito veramente poco. Ho sacrificato amori, amici e il mio tempo libero per essere la migliore versione di me. Sicuramente l’ho fatto per rendere orgogliosi i miei genitori ma, principalmente, l’ho fatto per me stesso. Io sono riuscito quasi a coronare il mio sogno, perché sì io volevo essere un medico ma volevo diventare dentro il mio cuore un ottimo cardiologo. Avrei dato me stesso per esserlo ma non è stato possibile, perché io da 8 anni ho soltanto 25 anni”.
Il pestaggio, i sogni di Aldo cancellati
Poi il racconto di quella tragica sera, la rissa, il pestaggio. “Sono stato ucciso a calci nella mia parte più preziosa – si legge ancora nel documento – nella mia testa, sono stato preso alle spalle, sono stato buttato a terra, mi hanno dato calci in testa, nelle costole perforandomi il polmone, mi hanno rotto il naso, schiacciato le dita, mi hanno rotto l’osso del collo a furia di calci, cercavo di dire basta, di tirarmi su, cercavo di chiedere aiuto ai miei amici”. E poi ancora, “Sono morto soffocato dal mio stesso sangue. In tutto ciò, nessuno ha fatto niente per me, ma non avrei mai chiesto da medico che qualcuno donasse la sua vita per me, ma nessuno, neanche i miei colleghi hanno saputo prestarmi soccorso nessuno mi ha aiutato, tutte le persone intorno a me si sono limitate a guardare, senza emozioni, quello che mi stava accadendo”.
Non c’è un perchè sulla morte di Aldo
Una vita spezzata dalla furia assassina senza un vero perchè. “In pochi minuti sono stati cancellati tutti i miei giorni futuri senza pensarci due volte, sono morto da solo su un marciapiede del giardino interno di una discoteca al freddo, in camicia, buttato fuori a calci con plurime emorragie cerebrali, sono morto da solo per un motivo a me sconosciuto. Da 8 anni la mia storia non riesce ad avere giustizia. Di tutti i presenti, nessuno – e dico nessuno – ha dato la versione reale di quello che mi è successo. Da 8 anni i miei genitori vanno di udienza in udienza, da processo a processo in virtù della speranza che i miei assassini paghino col carcere per ciò che mi hanno fatto”.
Per lo Stato vale così poco la vita di una persona?
E poi lo sfogo per dei processi lenti e lunghi dai quali molto spesso i reali responsabili potrebbero non venir fuori. “Quanto deve aspettare una persona, un uomo, un medico incensurato per avere giustizia? Per lo Stato vale così poco la vita di una persona? Io volevo soltanto essere una brava persona e un bravo medico. Non avevo fatto nulla di male per meritare una fine così disumana”.
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