La mafia arbitro ‘giudice’ chiamata a sistemare un contenzioso tra Comune e imprese in lite per un appalto. E’ quanto emerge dalle indagini della Dia di Catania che ha fatto luce su un intreccio tra imprese, dipendenti comunali, amministratori e criminalità organizzata nell’assegnazione di appalti.
A ‘lamentarsi’ con l’allora sindaco di Aci Catena, Ascensio Maesano, indagato, Vincenzo Guglielmino, amministratore di E.F. servizi ecologici, arrestato per mafia e corruzione, perché voleva riassegnato l’appalto che gli era stato tolto e assegnato a Rodolfo Briganti, rappresentante legale della Senesi, arrestato per corruzione. In quel caso, ricostruisce la Procura di Catania, c’è l’intervento del clan Cappello per mediare.
Secondo l’accusa Guglielmino “lungi dal subire le prevaricazioni dei clan mafiosi operanti nei territori ove si svolge la sua attività di impresa, si rapporta in modo paritario agli esponenti più rappresentativi dei clan mafiosi catanesi, in particolare al clan Cappello e al clan Laudani, considerandoli al pari di qualunque altro interlocutore commerciale dal quale acquistare servizi”.
Al clan Cappello, al quale viene ritenuto organico, “regolarmente e periodicamente eroga sostanziose somme di denaro (quasi fosse da considerare un costo di esercizio dell’impresa) in cambio, da un lato, del più tradizionale dei “servizi” offerti, vale a dire la protezione da eventuali danneggiamenti ai mezzi di esercizio della propria impresa perpetrati da clan rivali sul territorio”.
Dall’altra parte, Guglielmino ha il “sostegno, rafforzato dalle tipiche modalità mafiose di intimidazione e soggezione, per l’affermazione e il mantenimento del monopolio delle sue imprese sul territorio, come anche per l’ulteriore ampliamento dei propri affari e, di conseguenza, dei propri introiti attraverso l’aggiudicazione di nuovi appalti”.
Sono sedici le persone arrestate e tra di loro ci sono presunti mafiosi appartenenti ai clan Cappello e Laudani, ma anche imprenditori, funzionari pubblici e perfino un giornalista. L’inchiesta dalla Dia di Catania riguarda l’illecita gestione della raccolta dei rifiuti, nei comuni di Trecastagni, Misterbianco e Aci Catena, ma avrebbe diramazioni nella Sicilia Orientale.
Nel medesimo contesto la Dia ha sequestrato una società del valore complessivo di 30 milioni di euro circa che sarebbe stata utilizzata per commettere i reati in questione ma forse anche per riciclare denaro proveniente da attività illecite.
“I clan Laudani e Cappello decidono di non destare allarme sociale e quindi di mettersi d’accordo quando si tratta di favorire una ditta dei rifiuti piuttosto che un’altra profondamente infiltrate dalla mafia”. Lo ha detto il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro durante la conferenza stampa sull’operazione Gorgoni della Dia.
“Ditte che hanno ricevuto vantaggi veramente indebiti – ha aggiunto Zuccaro – da Comuni che invece sono in dissesto e che comunque non ricevono sotto il profilo del pagamento delle tasse destinate alla raccolta dei rifiuti, somme che corrispondono agli importi di appalti che concedono. È impossibile che gli amministratori non si rendano conto che i loro Comuni erogano somme di denaro che vanno al di là delle loro capacità. Nessuno di questi amministratori segnala queste disfunzioni all’autorità giudiziaria: questo non si può più tollerare. L’appello che rivolgo alle pubbliche amministrazioni – ha concluso il procuratore di Catania – è di non essere conniventi con la mafia e più attenti al controllo della legalità nei territori che gestiscono”.
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