Trent’anni di reclusione. E’ la sentenza pronunciata dalla Corte d’assise d’appello di Catania per Veronica Panarello per l’uccisione e l’occultamento del cadavere del figlio Loris, 8 anni, assassinato con delle fascette di plastica il 29 novembre del 2014 nella loro casa di Santa Croce Camerina.

I giudici, accogliendo la richiesta dell’Accusa, il Pg Maria Aschettino e il Pm Marco Rota, hanno confermato la decisione di primo grado emessa il 17 ottobre del 2016 dal Gup di Ragusa, Andrea Reale, col rito abbreviato.

“E’ colpa tua, ti ammazzo con le mie mani. Sei contento adesso?”. Così Veronica Panarello ha reagito urlando in aula rivolta al suocero alla lettura della sentenza. La donna ha sempre sostenuto che ad assassinare il bambino sarebbe stato Andrea Stival perché il bambino aveva scoperto una loro presunta relazione.

La donna è stata accompagnata fuori dall’aula, a forza, dalla polizia penitenziaria che l’ha subito bloccata.

“Da quello che abbiamo potuto capire – ha spiegato il legale di Veronica Panarello parlando delle urla lanciate dalla sua assistita in aula ce l’aveva col suocero, che ritiene responsabile dell’omicidio del figlio. Dopo mi ha detto questa frase: ‘Da adesso sconti non ce ne saranno più per nessuno, dato che non ho avuto giustizia, la giustizia me la farò da sola e quando uscirò dal carcere lo ucciderò’. Sono delle frasi – ha sottolineato il penalista – che in un momento di sconforto ci possono stare anche se non si possono giustificare. Dobbiamo comprendere il suo stato d’animo”.

“E’ emerso lo schifo che ha fatto Veronica Panarello, non c’è alcunché che potrei dire di lei che ha tolto la vita a un bambino e alle persone che stanno accanto a me. Non ci sarà mai giustizia per mio nipote, perché non tornerà più”. Così Andrea Stival commenta la reazione della nuora.

“La Corte d’assise d’appello di Catania ha confermato la sentenza di condanna di primo grado e sarà interessante leggere le motivazioni e in particolar modo per vedere perché non hanno concesso le circostanze attenuanti generiche, una sorte di semi infermità, di non dovere rifare la perizia psichiatrica e il confronto col suocero. Valuteremo il ricorso in Cassazione”. Lo ha affermato l’avvocato Villardita.