Un detenuto catanese recluso nella casa circondariale di di Caltagirone (Ct) si è impiccato oggi. Lo rende noto il legale Rita Lucia Faro.

Era in carcere per furto aggravato

L’uomo era imputato di furto aggravato per avere “sottratto un telefonino ed un portafogli poi restituiti ai legittimi proprietari”, aggiunge l’avvocato.

L’uomo in lista di attesa per andare in comunità, era affetto da psicosi

“Il mio assistito – prosegue Faro – era già da tempo in lista d’attesa per essere inserito in una comunità terapeutica assistita in quanto affetto da psicosi in soggetto con disturbo di personalità borderline e abuso di alcolici e per tale ragione presso il carcere di Caltagirone era sottoposto al regime della cosiddetta grande sorveglianza al fine di evitare e prevenire episodi di autolesionismo“.

Esposto per accertare eventuali negligenze

“Ma nonostante il regime di particolare cautela – osserva l’avvocato – il detenuto ha avuto la possibilità di allestire i mezzi per suicidarsi senza che nessuno se ne accorgesse”. Il legale, afferma che i familiari del recluso presenteranno esposto alle Autorità Giudiziarie per “accertare se vi siano state negligenze da parte del personale dell’Istituto penitenziario”.

Un altro detenuto catanese suicida in carcere a Ravenna ad aprile

E non è la prima volta che purtroppo vi raccontiamo di suicidi di detenuti nelle carceri italiane.
Nell’aprile scorso un altro detenuto catanese si è suicidato.
La notizia che il Tribunale del Riesame aveva bocciato la sua richiesta di domiciliari a casa della madre in Sicilia, gli era arrivata in mattinata. L’uomo – un 58enne autotrasportatore di origine catanese ma residente a Ravenna – poco dopo si è tolto la vita all’interno del carcere romagnolo dove si trovava dal 13 marzo 2022 per reati commessi nei confronti della ex moglie dalla quale si stava separando.

Qualche giorno fa il suicidio di una giovane donna detenuta

Vincenzo Semeraro, giudice di sorveglianza del Tribunale di Verona, ha scritto una lettera che è stata letta martedì 9 agosto, durante i funerali di Donatella Hodo, una ragazza di 27 anni che si è suicidata in carcere e che seguiva da sei anni.
“Siamo persone prima che giudici. E io, come magistrato ma soprattutto come uomo, sento di aver fallito”, ha detto il giudice in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera.

Fragilità e problemi di dipendenza

Semeraro ha descritto la 27enne come una giovane “che lottava contro problemi di dipendenza da stupefacenti e una grande fragilità. Usciva e rientrava in cella di continuo per piccoli furti legati alla droga, si è lasciata morire la notte del 2 agosto inalando del gas dal fornelletto che aveva in cella”.
“Da quando Donatella ha attuato il suo tragico gesto, continuo a pormi mille interrogativi – ha continuato il magistrato – Dove ho sbagliato, in che cosa? Ogni volta che una persona detenuta in carcere si toglie la vita, significa che tutto il sistema ha fallito. Nel caso di Donatella, io ero parte del sistema visto che seguivo il suo caso da sei anni. Quindi, come il sistema, anche il sottoscritto ha fallito”.
E ancora: “Cosa avrei potuto fare di più per questa ragazza? Forse l’ultima volta che sono andato a farle visita nel penitenziario, lo scorso giugno, avrei potuto dirle due parole in più? Perché, nonostante la conoscessi da quando aveva 21 anni, non ho captato che il malessere era divenuto per lei così profondo?”.
La 27enne, lo scorso marzo, era stata trasferita in comunità. A proposito di ciò, il giudice ha detto: “Avevo fatto in modo che uscisse dal carcere perché la cella non era il posto idoneo per lei. Purtroppo poi era scappata, tornando quindi lì. A breve era in arrivo per lei una misura alternativa con affidamento terapeutico al Sert, doveva solo pazientare un po’. Purtroppo la sua fragilità ha preso il sopravvento nella solitudine di quella cella”.
Per il giudice, Donatella Hodo “aveva bisogno di un adeguato sostegno psicologico, un servizio di supporto che l’intero sistema non riesce a garantire non solo nel carcere di Verona ma in tutti i penitenziari d’Italia. Le strutture detentive non sono a misura di donna, le detenute vanno approcciate in modo totalmente diverso, hanno un’emotività che non ha nulla a che fare con quella maschile. Vanno seguite in modo specifico e del tutto peculiare”.

Articoli correlati