“Mentre continuiamo a dissertare sul 41 bis e sui diritti dei detenuti al carcere duro nel Catanese un ergastolano, già condannato per associazione mafiosa e omicidio, in permesso premio, uccide due donne. Qualcuno deve interrogarsi sulle responsabilità di quanto è accaduto”.

E’ l’affondo del segretario generale S.PP. – Sindacato Polizia Penitenziaria – Aldo Di Giacomo che aggiunge: “il duplice omicidio dovrebbe innanzitutto segnare uno spartiacque sul 41 bis e mettere fine definitivamente al clima di buonismo che si sta diffondendo a partire dal “caso Cospito” contro il 41 bis e che trova terreno fertile in ambienti dell’Unione Europea e nelle campagne sui diritti dei detenuti a regime duro”.

Il tremendo delitto

Si era presentato, a mezzogiorno, all’esterno della caserma dei carabinieri di Riposto, Salvatore La Motta, 63 anni, armato con una rivoltella, dicendo “mi voglio costituire”.

I militari, “tenendolo sotto tiro, hanno cercato di convincerlo” a lasciare l’arma e “non fare alcun tipo di gesto insensato, ma, purtroppo, è stato vano perché l’uomo si è puntato la pistola alla testa e ha fatto fuoco”. Così il comandante del reparto Operativo dei carabinieri del comando provinciale di Catania, il tenente colonello Claudio Papagno, parlando con i giornalisti davanti la caserma di Riposto.

La ricostruzione della tragedia

Le due vittime, Carmelina Marino, 48 anni, e Santa Castorina, 50 anni, ricostruisce l’ufficiale, sono state uccise, tra le 08.30 e le 10 di stamattina, “con un colpo di pistola al volto”. “La dinamica che potrebbe avere avuto con le due donne – aggiunge il tenente colonello Papagno – sono tutte in fase di accertamento. Indagini sono in corso per dare un movente. L’uomo era un pregiudicato che ha precedenti anche per associazione mafiosa. E per il primo delitto ha usato certamente un’auto”. L’ufficiale dei carabinieri sottolinea che stanno “sentendo diverse persone presenti sui luoghi dei delitti” che «stanno rilasciando dichiarazioni certamente utili”.

Era detenuto in semilibertà

La Motta era un detenuto in semi libertà che stava usufruendo di una licenza premio e sarebbe dovuto rientrare  nel carcere di Augusta, nel Siracusano proprio il giorno del delitto. Lo si apprende dai carabinieri del comando provinciale di Catania che indagano sul caso.

Era stato condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise e d’Appello di Catania perchè accusato di essere uno dei componenti del “gruppo di fuoco” che il 4 gennaio del 1992 davanti a un bar del paese uccise Leonardo Campo, di 69 anni, ritenuto dagli investigatori uno dei capi storici della malavita di Giarre.

A La Motta, prima dell’arresto e dunque durante il dibattimento, era stato vietato di andare all’estero e gli era stato ordinato di abitare soltanto a Riposto. Dopo un primo periodo in carcere gli è stata concessa la detenzione in semilibertà, lavorava di giorno e la sera rientrava in carcere. Ieri era l’ultimo giorno di un permesso premio.

Tempo di rispondere alla campagna contro il 41 bis

Il sindacato di polizia penitenziaria è sul piede di guerra “È dunque tempo che si risponda alla campagna alimentata in ambienti Ue spiegando che non ci possono essere sconti di trattamento per appartenenti alla criminalità organizzata che non solo non mostrano alcun pentimento ma tornano ad uccidere. Altro che permessi premio e
detenzione da carcere-hotel a cinque stelle. I familiari delle vittime come il personale penitenziario che ha pagato con la vita il servizio reso allo Stato e gli agenti che sono continuamente aggrediti dicono basta. È ora di finirla con il buonismo. E se a Bruxelles o a Strasburgo o nelle capitali europee pensano che la mafia e la ‘ndrangheta siano
organizzazioni criminali siciliana e calabrese o tutt’al più diffusa nel nord Italia evidentemente non conoscono o fingono di non conoscere i traffici di droga, affari, che sono guidati dalle cosche ‘ndranghetiste oltre che mafiose e camorriste”.

La ‘ndrangheta è sbarcata in Europa

“Non sfugga – continua Di Giacomo – che lo sbarco della ‘ndrangheta nei Paesi Europei, non certo di recente, trova di fatto terreno fertile nei sistemi penitenziari di quei Paesi a differenza del nostro che con il carcere ostativo e il 41 bis si pone l’obiettivo prioritario (anche se non sempre ci riesce) di evitare che dal carcere si continui a svolgere traffici criminali. Senza sottovalutare i cambiamenti avvenuti e le nuove tecniche usate dalla mafia 2.0. La mafia si è modernizzata, più di quanto possiamo immaginare e come confermano autorevoli magistrati utilizza, già da tempo, non solo i telefonini per impartire ordini ma sofisticate piattaforme informatiche. Va intensificata ogni azione per mettere i criminali in condizione di non nuocere”.

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