Gli amministratori, il direttore sanitario e tre medici della clinica ‘Di Stefano Velona’ di Catania sono stati sospesi dall’esercizio del pubblico servizio di medico per 12 mesi nell’ambito di una inchiesta della Procura di Catania dopo la denuncia di un paziente al quale era stato diagnosticato un lipoma, che in realtà si è rivelato poi essere un tumore.

Dalle indagini dei carabinieri del Nas è emerso che per alcune prestazioni mediche per le quali veniva previsto un rimborso da parte dal sistema sanitario nazionale non venivano effettuati esami strumentali e diagnostici per incamerare l’intero rimborso pubblico, riducendo al minimo le spese.

I reati ipotizzati dal Gip sono associazione a delinquere, commissione di truffe ai danni dello Stato, abusi d’ufficio e falsi in atto pubblico. Nei confronti della clinica è stata disposta la sospensione per la durata di un anno dell’autorizzazione regionale all’attività ambulatoriale e dell’accreditamento istituzionale al Servizio sanitario nazionale.

Sempre oggi in un’altra inchiesta condotta, invece, dalla Guardia di Finanza è emerso che, sempre nel catanese, funzionari infedeli intascavano gli importi del ticket pagato dagli utenti invece di versarlo  nelle casse dell’azienda sanitaria LEGGI QUI

I destinatari delle misure del Gip sono due amministratori della clinica, Nunzio Di Stefano ed Ornella Maria Velona, il direttore Sebastiano Villarà, e i medici Alfio Sciuto, Giuseppe Adamantino e Giuseppe Renzo Giuseppe Calanducci.

Carabinieri del Nas di Catania hanno inoltre sequestrato beni circa 120 mila euro riconducibili agli indagati e alla clinica. La vicenda trae origine dalla denuncia di un paziente 40enne che si è recato nella clinica per tre volte a causa del ripresentarsi di una formazione anomala all’inguine sinistro, che fu dimesso con una diagnosi di “lipoma” effettuata dal sanitario “a vista”, senza cioè, sostiene la Procura, l’effettuazione dei necessari esami strumentali e diagnostici.

Inoltre nella cartella clinica sarebbe stato falsamente attestato il rifiuto del paziente all’esame istologico. A distanza di mesi il paziente, recatosi in un’altra struttura pubblica, scoprì che la massa era in realtà una grave formazione tumorale compatibile con una recidiva di mixofibrosarcoma di grado intermedio. Per la Procura “il ritardo nella diagnosi della patologia derivante dell’omissione da parte dei sanitari della clinica dell’effettuazione dell’esame istologico, ha cagionato nel paziente, oltre ad una compromissione della funzione deambulatoria anche una crescita incontrollata della neoplasia, con l’insorgenza di metastasi diffuse in più parti del corpo ed un aumento del rischio di recidiva”. Dalle indagini è emerso come il comportamento dei sanitari fosse il frutto di una prassi instaurata da tempo dai dirigenti amministrativi e dai medici della clinica per massimizzare i ricavi a discapito della tutela del diritto alla salute dei pazienti.

Carabinieri del Nas hanno sequestrato circa 4.000 cartelle cliniche che per i militari contengono migliaia di false attestazioni rese dai medici in sede di dimissione del paziente sempre con oggetto l’effettuazione di esami mai svolti. In un caso il direttore sanitario, all’atto della prestazione del consenso informato, si sarebbe sostituito al paziente, falsificandone la firma.

“Un episodio di gravissima malasanità non dovuta a colpa, ma a dolo, agli intenti di lucrare profitti indebiti”. Così, parlando con i giornalisti in conferenza stampa, il Procuratore di Catania Carmelo Zuccaro ha commentato gli esiti dell’indagine di carabinieri del Nas sulla clinica ‘Di Stefano Velona’.

“La scelta della misura – ha aggiunto Zuccaro – non dipende dalla gravità del fatto. Dipende dalla gravità delle esigenze cautelari e dal modo migliore per far venir meno i rischi di reiterazione. Se è vero che dinanzi ad un esempio di malasanità come quello perpetrato ai danni i questa persona all’opinione pubblica e soprattutto ai non addetti ai lavori può sembrare banale la misura che la Procura ha richiesto ottenuto – ha sottolineato Zuccaro – questo dipende dal fatto che non si ha percezione esatta di come la legge non ci chieda di parametrare una misura cautelare, che on è mai anticipazione di giustizia ma soltanto esigenza di evitare la reiterazione, alla gravità dei fatti, ma bensì alla gravità delle esigenze cautelari”.