Finita l’odissea dei migranti della Diciotti. E’ iniziato dopo mezzanotte per concludersi poco dopo lo sbarco dei 137 migranti, scesi uno dopo l’altro dalla nave della Guardia costiera, ormeggiata al porto di Catania per 5 giorni.

Sul pattugliatore sono rimasti però dieci giorni. I primi a scendere sono stati 12 giovanissimi, che sono stati presi in consegna da personale della Croce Rossa italiana.

Dopo le rapide procedure di fotosegnalamento e prima identificazione, i migranti sono stati fatti salire a bordo di tre pullman diretti verso l’hotspot di Messina.

Al centro di un braccio di ferro – e di un’aspra trattativa che ha visto l’Italia confrontarsi a muso duro con l’Europa – che si è risolto solo a tarda sera, e dopo la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati del ministro dell’Interno Matteo Salvini, fermo nell’opporsi allo sbarco.

Dalla sua ha il premier Giuseppe Conte. “A queste condizioni – il commento del presidente del consiglio – l’Italia non aderisce al bilancio dell’Unione che sottende una politica così incoerente sul piano sociale”.

Alla notizia dello sbarco, il commissario Ue alla migrazione Dimitri Avramopoulos ha dichiarato: “Accolgo con favore il fatto che sia stata trovata una soluzione e che i migranti a bordo della Diciotti siano in grado di sbarcare e ricevere l’assistenza di cui hanno bisogno”, e questo “grazie alla solidarietà attraverso le frontiere e le comunità”, ma “non possiamo sempre aspettare per questo tipo di solidarietà basata sulla buona volontà, dobbiamo avere misure strutturali”.

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini è indagato dalla Procura di Agrigento per sequestro di persona, abuso d’ufficio e arresto illegale. Indagato anche il capo di Gabinetto del Viminale.

Secondo i magistrati, avrebbero privato illegalmente della libertà personale i profughi soccorsi dalla nave Diciotti a cui, da giorni, è vietato scendere dall’imbarcazione ormeggiata nel porto di Catania.

“Vergogna”, il commento a caldo del leader della Lega. La svolta nell’inchiesta arriva al termine di una giornata convulsa in cui il capo dei pm della città dei Templi Luigi Patronaggio è volato a Roma per sentire due alti funzionari del Viminale, Gerarda Pantalone e il suo vice, Bruno Corda, presi a verbale al palazzo di Giustizia come persone informate sui fatti.

“La Procura di Agrigento, al termine dell’attività istruttoria compiuta, ha deciso di passare a noti il fascicolo, iscrivendo due indagati e trasmettendo doverosamente i relativi atti alla competente Procura di Palermo per il successivo inoltro al tribunale dei ministri del capoluogo”, scrive il procuratore in una nota. Naturalmente il nome di Salvini, che solo poche ore prima aveva rivelato su Fb che il magistrato aveva chiesto i suoi dati anagrafici e l’aveva sfidato ad arrestarlo, nel comunicato non c’è.

Ma la conferma che il ministro iscritto nel registro degli indagati sia il leader della Lega non tarda ad arrivare. Le carte con gli atti istruttori raccolti finora dai pm di Agrigento verranno trasmessi alla Procura di Palermo che, entro 15 giorni, dovrà girarli al tribunale dei ministri del capoluogo, competente in casi di reati compiuti da esponenti del Governo.

Entro 90 giorni i giudici, che sono estratti a sorte ogni due anni e hanno i poteri del vecchio giudice istruttore, decidono se archiviare o chiedere l’autorizzazione a procedere in questo caso del Senato, visto che Salvini è senatore.

Sarà però il Procuratore della Repubblica, ricevuta una relazione motivata del collegio, in questo caso a “girare” la richiesta al Parlamento. “Cosa porti a casa? Che ti indagano. Aspetto con il sorriso il procuratore di Agrigento, voglio spiegargli le mie ragioni. Aspetto un procuratore che indaghi i trafficanti e chi favoreggia l’immigrazione clandestina”, tuona Salvini.

Per l’iscrizione del leader della Lega è stata fondamentale la deposizione dei due funzionari che hanno consentito ai magistrati di ricostruire la catena di comando che ha gestito, prima l’ordine di non fare attraccare la nave della Guardia Costiera con 190 migranti a Lampedusa, e poi la disposizione di vietare lo sbarco a Catania, sede individuata dal ministero delle Infrastrutture come il porto sicuro.

Le parole aspre del ministro, che fino ad oggi aveva invitato il capo dei pm a indagarlo e a non sprecare tempo sentendo i funzionari, sono state duramente criticate dall’Associazione Nazionale Magistrati. “Il ministro dell’Interno ha rilasciato dichiarazioni tendenti ad orientare lo sviluppo degli accertamenti. Si tratta di una interferenza nelle prerogative dell’autorità giudiziaria; nessun altro soggetto può sostituirsi ai magistrati”, ha scritto l’Anm che ha annunciato che “vigilerà affinché singolo magistrato possa svolgere i propri compiti in assoluta autonomia, senza inammissibili e indebite interferenze”.

E a difesa delle toghe si sono schierati 4 consiglieri del Csm che hanno chiesto che venga messo all’ordine del giorno del Plenum fissato per il 5 settembre “la verifica del rispetto delle norme”.