La giustizia sportiva è stata chiara: il Catania è punito per aver corrotto o comunque tentato di corrompere al fine di dirottare le partite nella direzione desiderata.
Ma dalla tormentata estate scorsa ad oggi, sotto l’Etna, il leitmotiv è sempre lo stesso: se esiste un corruttore, dovrebbe esistere anche un corrotto. E con chi è stato deciso l’andamento delle cinque partite incriminate?
Se, infatti, si fosse verificato un tentativo lontano dalle intercettazioni telefoniche e senza alcuna controparte coinvolta, si sarebbe punita ugualmente la società in maniera così pesante?
Nei giorni scorsi, questi interrogativi, sono finiti in un fitto cinguettio su twitter tra diversi tifosi del Catania e il presidente della Lega di Serie B, Andrea Abodi che ha risposto a tutte le domande.
Il numero uno della Cadetteria ha esortato a “leggere bene le carte” affermando che il tentativo di comprare le partite prevede retrocessione e punti di penalizzazione. Poi ha continuato: “Se è il presidente di una squadra a commettere l’illecito, subentra anche la responsabilità diretta della società”.
Insomma, Abodi ha stroncato sul nascere qualsiasi possibile forma di rivendicazione da parte della gente di Catania, per una giustizia severissima che, se da un lato riconosce l’inesistenza dei contatti di mediatori come Arbotti, dall’altro invece ha condannato esclusivamente il Catania per illeciti che sarebbero stati compiuti a senso unico.
Eppure l’ordinamento giuridico italiano, penale o sportivo che sia, è lapalissiano che non possa non tenere in considerazione la controparte di un illecito.
E’ vero che Abodi rimarca che il solo tentativo di corruzione, basta per incriminare la società, ma sarebbe il caso di far chiarezza a 360 gradi.
Tuttavia da qualsiasi prospettiva lo si veda, il Catania ne è uscito con le ossa rotte.
a cura di Marco Zappalà
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