Sono per lo più internazionalizzate, investono in ricerca e innovazione e collaborano facendo rete. E’ questa la carta di identità delle imprese siciliane di successo, localizzate in larga parte nel versante orientale dell’Isola, che negli anni della grande crisi economica, dal 2008 al 2014, sono riuscite a crescere aumentando produzione, fatturato e occupazione.

Lo rivela una ricerca condotta dal dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Catania, realizzata in collaborazione con le sedi siciliane di Confindustria e con il Comitato Mezzogiorno, i cui primi risultati sono stati anticipati ieri a Catania, nella sede di Confindustria, nel corso di un incontro con alcune imprese protagoniste dell’indagine, alla presenza del presidente della Piccola Industria di Confindustria Catania, Angelo Di Martino.

Se è vero che dalla fine del 2007 il Mezzogiorno ha subito i gravi effetti della crisi economica in modo amplificato rispetto al resto del Paese, a causa della fragilità del suo sistema economico e delle inefficienze del suo apparato burocratico- amministrativo, perdendo il 13% del prodotto interno lordo e quasi 600 mila posti di lavoro sugli ottocentomila andati in fumo in Italia – come ha fatto rilevare Armando Castronuovo, docente del corso di Economia dello Sviluppo dell’Università di Catania e responsabile dell’indagine che ha coinvolto 31 imprese siciliane -, esistono per contro realtà produttive che hanno dimostrato di non risentire in modo particolare delle difficoltà congiunturali né delle condizioni di svantaggio del territorio.

Si tratta di imprese manifatturiere di dimensioni piccole e medie – ha evidenziato l’indagine – localizzate principalmente tra le province di Catania e Ragusa, che mostrano forte capacità di competizione e di organizzazione, in alcuni casi sono leader di settore, altre fortemente internazionalizzate, ma non ancora così numerose da poter generare forme di vera e propria agglomerazione, anche se in atto esiste una positiva inversione di tendenza.

“Scoprire come operano gli imprenditori o il management di queste imprese, cosa producono, come riescono a competere e quali sono le loro difficoltà quotidiane – ha spiegato Castronuovo – è prioritario per cercare di orientare le scelte pubbliche verso politiche attive che abbiano l’obiettivo di cambiare lo stato di attuale stagnazione del sistema economico e riattivare lo sviluppo”.

E ciò anche in vista dell’avvio del nuovo ciclo di programmazione dei fondi europei, che le imprese chiedono a gran voce di destinare verso obiettivi più qualificati rispetto a quanto non sia avvenuto in passato.

Un altro capitolo dell’indagine certifica infatti come la spesa comunitaria erogata in Sicilia, 8,6 miliardi della programmazione 2000-20006, in aggiunta ai 4,5 miliardi del ciclo 2007-2013, dispersa in mille rivoli, non abbia avuto nessuna sostanziale refluenza sui tassi di crescita strutturale dei diversi settori produttivi dell’economia dell’Isola.