Una 54nne ha tentato di uccidere il figlio di 20 anni, affetto da tetraparesi spastica e ritardo mentale, facendogli ingerire tutto il contenuto di un flacone di gocce di un sedativo e tentando di soffocarlo riempiendogli la bocca con della carta assorbente inzuppata di profumo.
A contestare il tentato omicidio alla donna è stata la procura di Catania, sulla base di indagini dei Carabinieri, che ha ottenuto la misura cautelare degli arresti domiciliari presso una Comunità Terapeutica Assistita.
La vicenda, scrive la procura, pur in considerazione della sua gravità dal punto di vista giuridico, assume particolare intensità emotiva in relazione al contesto in cui essa è maturata.
“La donna, infatti, spinta da motivazioni che si annidano nella mente di un essere umano, aveva prima cacciato fuori dall’abitazione l’anziana madre convivente, consentendole poi di farvi rientro ma rinchiudendola sotto chiave per impedirle di uscire”.
Ma, purtroppo, secondo le indagini, era decisa a fare ancor di più. Infatti, per porre in atto il suo piano delittuoso, allontanava anche la badante che la aiutava nell’assistenza del figlio disabile. Sarebbe stata, sempre secondo l’accusa, proprio la prontezza di spirito della badante ad evitare la tragedia.
La collaboratrice infatti, presagendo un pericolo reale per l’incolumità del suo assistito, si era immediatamente rivolta ai carabinieri raccontando l’accaduto e consentendo il salvataggio.
Al loro arrivo infatti i militari, insieme alla badante, trovavano l’anziana madre costretta sul balcone di casa terrorizzata e tremante, quindi, fatta irruzione all’interno dell’abitazione e vinta la resistenza della donna che cercava di impedirne l’accesso, trovavano il ragazzo che versava in condizioni critiche poiché affetto da grave crisi respiratoria.
La donna infatti, nel tentativo di ucciderlo, oltre a somministrargli un intero flacone di “Valium”, rinvenuto sul comodino, aveva cercato di soffocarlo riempendogli la bocca con della carta assorbente inzuppata di profumo.
Il primo intervento di disostruzione del cavo orale, seppur a malapena, consentiva al ragazzo di respirare quindi, l’immediata induzione al vomito per l’espulsione del farmaco, consentiva al personale sanitario del 118, intanto sopraggiunto, di stabilizzarlo e trasportarlo al pronto soccorso per scongiurarne la morte.
La donna, che non nascondeva le proprie responsabilità ai militari, anzi confermando quelle che erano le ipotesi a suo carico, veniva poi sottoposta a T.S.O. e condotta presso un nosocomio della provincia etnea.
Nei giorni seguenti al fatto l’amministratore di sostegno del ragazzo ha presentato denuncia nei confronti della donna per i fatti accaduti, aggiungendo anche che quest’ultima aveva già precedentemente attentato alla vita del disabile interrompendone l’alimentazione.
La gravità dei fatti accaduti e i successivi riscontri investigativi, comunicati al pubblico ministero titolare dell’indagine, facente parte del pool di magistrati specializzato sui reati inerenti la violenza di genere, oltre ad evidenziare la perfetta sinergia d’intenti tra Autorità Giudiziaria, carabinieri e le componenti sanitarie attive sul territorio, che di fatto hanno salvato la vita del giovale disabile, hanno fornito al giudice quegli elementi probatori utili all’emissione della misura cautelare.
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