Ai sensi dell’art. 1703 c.c. il mandato è il contratto con cui una parte (mandatario) assume l’obbligo di compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altra parte (mandante).
Il mandata può essere:
a) con rappresentanza – ossia il mandatario è munito del potere di spendere il nome del mandante essendo provvisto di procura – per cui gli effetti giuridici degli atti compiuti dal mandatario in nome e per conto del mandante si verificano direttamente in capo a quest’ultimo (art. 1704 c.c.);
b) senza rappresentanza, per cui il mandatario, essendo privo di procura ad negotia, agisce in nome proprio e acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dal negozio. I terzi – come precisa l’art. 1705 c.c. – non hanno alcun rapporto con il mandante, nei cui confronti non possono far valere alcuna pretesa, neppure se erano a conoscenza del mandato, in quanto manca comunque la ‘spendita del nome’. Il mandatario, tuttavia, ha l’obbligo, in forza del mandato ricevuto, di trasferire al mandante gli effetti giuridici e materiali dell’attività svolta.
L’oggetto del mandato può essere il più vario, ma a condizione che si tratti del compimento di ‘atti giuridici’, per tali dovendosi intendere la conclusione di atti di autonomia negoziale, e non meri comportamenti materiali.
Ciò non esclude che il mandatario debba pure porre in essere ‘atti materiali’; ma si tratterà del mezzo, e non del fine del mandato.
Invero, ai sensi dell’art. 1708 c.c. il mandato comprende non solo gli atti per i quali è stato conferito, ma anche quelli che sono necessari al loro compimento.
Obblighi del mandante e del mandatario
Gli artt. 1710 e ss. regolano gli obblighi ai quali sono tenuti il mandante e il mandatario.
Innanzitutto, il mandato, ai sensi dell’art. 1709 c.c., si presume oneroso e dunque, che sia dovuto un compenso a favore del mandatario. Spetterà al mandante dimostrare che il mandato è stato pattuito come gratuito.
Quanto agli obblighi derivanti dal mandato, innanzitutto, il mandatario:
(i) è tenuto a eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia; ma se il mandato è gratuito, la responsabilità per colpa è valutata con minor rigore (art. 1710, primo comma, c.c.);
(ii) è tenuto a rendere note al mandante le circostanze sopravvenute che possono determinare la revoca o la modificazione del mandato (art. 1710, secondo comma, c.c.);
(iii) non può eccedere i limiti fissati nel mandato;
(iv) può discostarsi dalle istruzioni ricevute qualora circostanze ignote al mandante, e tali che non possano essergli comunicate in tempo, facciano ragionevolmente ritenere che lo stesso mandante avrebbe dato la sua approvazione;
(v) deve senza ritardo comunicare al mandante l’esecuzione del mandato (art. 1712 c.c.);
(vi) deve rendere al mandante il conto del suo operato e rimettergli tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato (art. 1713 c.c.).
Il Codice Civile prevede anche alcuni obblighi a carico del mandante:
(1) ai sensi dell’art. 1719 c.c., il mandante, salvo patto contrario, è tenuto a somministrare al mandatario i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato e per l’adempimento delle obbligazioni che a tal fine il mandatario ha contratte in proprio nome;
(2) ai sensi dell’art. 1720 c.c., il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni, con gli interessi legali dal giorno in cui sono state fatte, e deve pagargli il compenso che gli spetta, e deve inoltre risarcire i danni che il mandatario ha subiti a causa dell’incarico.
Infine, sia il mandante che il mandatario, come parti di un contratto, sono tenute ad agire secondo il principio di buona fede oggettiva o correttezza, che costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, e che impone di mantenere, un comportamento leale nonché volto alla salvaguardia dell’utilità altrui, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio.
Tale dovere giuridico, come precisato dalla giurisprudenza in materia, si specifica, per lo più, nell’obbligo di informare e avvisare l’altra parte di ogni circostanza che possa modificare l’equilibrio delle posizioni contrattuali, recare pregiudizio, e, in ogni caso, possa incidere sulla corretta esecuzione del rapporto contrattuale alla luce degli interessi in concreto perseguiti dalle parti (v. Cass. civ., sez. III, 15.02.2007, n. 3462).
Risoluzione per inadempimento e risarcimento del danno
La risoluzione del contratto è un rimedio ad anomalie funzionali, ossia sopravvenienze che impediscono la corretta attuazione del regolamento di interessi disciplinato dal contratto, e consiste nello scioglimento del vincolo contrattuale con la conseguente cessazione degli effetti da esso derivanti.
La risoluzione del contratto può avvenire a) per inadempimento, b) per impossibilità sopravvenuta e c) per eccessiva onerosità. La risoluzione per inadempimento – che rileva in questa sede – è applicabile solo ai contratti sinallagmatici o a prestazioni corrispettivi, nei quali, cioè, la prestazione di una parte (e il relativo sacrificio) trova giustificazione nella controprestazione che deve essere eseguita dall’altra.
Ai sensi dell’art. 1453 c.c., al contraente non inadempiente è concessa la facoltà di scegliere tra due vie: o insistere per l’adempimento, chiedendo la c.d. manutenzione del contratto e la condanna di controparte a eseguire la prestazione non ancora adempiuta; oppure chiedere la risoluzione del contratto, e quindi di sciogliere il vincolo contrattuale come se non fosse mai intercorso.
In entrambi i casi, è fatto salvo il diritto del contraente in bonis di pretendere il risarcimento dei danni subiti, che vanno tuttavia apprezzati in modo diverso a seconda dell’azione prescelta:
(a) se la parte non inadempiente insiste per la manutenzione del contratto (e, quindi, la controprestazione è ancora realizzabile), potrà (i) chiedere l’esecuzione della prestazione dovuta in origine (restando obbligato a eseguire la propria), e (ii) agire altresì per il risarcimento del danno derivante dal ritardo nell’adempimento (che non può equivalere, quindi, al controvalore della prestazione originaria);
(b) se la parte non inadempiente non intende rimanere vincolata al contratto stipulato e chiederne la risoluzione, (i) non sarà più tenuta ad adempiere la propria prestazione, oppure, ove l’abbia già eseguita, avrà diritto di chiederne la restituzione, e (ii) potrà chiedere il risarcimento del danno subito, commisurato non al semplice ritardo, bensì all’inadempimento assoluto di controparte per non aver ricevuto la prestazione.
Ovviamente, secondo la regola generale prevista dall’art. 1223 c.c., i danni risarcibili comprenderanno tanto il danno emergente (ossia la perdita economica subita, tra cui, ad esempio, i costi inutilmente sostenuti) e/o il lucro cessante (ossia il mancato guadagno, ottenuto detraendo dai ricavi le spese strumentali), che siano conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento. Sono risarcibili, secondo la giurisprudenza, anche i danni indiretti, purché rientrino nella sequenza causale ordinaria delle conseguenze prevedibili e altamente probabili dell’illecito.
La domanda di adempimento non preclude il diritto di chiedere, in un secondo momento, la risoluzione del contratto, ove sia più conveniente; viceversa, una volta chiesta la risoluzione, non è più possibile esigere l’adempimento (art. 1453, secondo comma, c.c.).
Dalla data della domanda di risoluzione, il contraente inadempiente non può più rimediare alla precedente violazione; pertanto, l’altra parte è legittimata a rifiutare la prestazione che gli venga proposta, ove non preferisca accettare un adempimento tardivo (art. 1453, terzo comma, c.c.).
La risoluzione per inadempimento è una ipotesi di risoluzione giudiziale, nel senso che deve essere richiesta all’autorità giudiziaria, la quale pronuncerà una sentenza costitutiva di scioglimento del contratto soltanto qualora accerti che: (i) vi è stato inadempimento del contratto; (ii) tale inadempimento è imputabile per colpa al convenuto; e (iii) l’inadempimento non ha ‘scarsa importanza’, ossia la violazione contestata sia tale da alterare l’equilibrio di interessi sotteso al contratto, così da travolgere l’intero regolamento negoziale.
Quanto all’onere di prova, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza del 30 ottobre 2001, n. 13533 ha stabilito che il creditore che agisce in giudizio, sia per l’adempimento del contratto sia per la risoluzione ed il risarcimento del danno, deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto (ed eventualmente del termine di scadenza), limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte, su cui incombe l’onere di dimostrare il fatto estintivo costituito dall’adempimento (o dalla impossibilità di adempiere).
La risoluzione ha efficacia retroattiva (art. 1458 c.c.): pertanto il contratto risolto non produce più effetti per l’avvenire e le parti sono liberate dalle rispettive obbligazioni per il futuro, ma sono anche rimossi gli effetti medio tempore prodotti, sicché le prestazioni eseguite devono essere restituite.
Luogo: Studio Immobiliare Dott. Francesco Agati , Berchet, 3, GELA, CALTANISSETTA, SICILIA
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