Alzi la mano chi in questi giorni di quarantena forzata, avendo figli in età scolare, non abbia ripreso a studiare batteri e virus. E’ il compito più gettonato dai professori di scienze, ca va sans dire.
E ben venga, un ripasso in questo periodo di tregenda nazionale, certamente non guasta. E così ci troviamo a riscoprire che i virus nascono in natura e che nella misura del 90% ci sono ancora totalmente sconosciuti. Non è un bel sapere in questo momento. D’altronde, tutti i virologi e gli epidemiologi lo stanno ripetendo, a proposito del Covid19, che il comportamento di questo microrganismo è materia sconosciuta tanto da non riuscire ancora ad anestetizzarne gli effetti. Lo ha ripetuto ancora nei giorni scorsi, con un filo di ottimistica speranza tuttavia, anche il dottor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri. In un afflato di generosità nei confronti di chi lo ascoltava, Remuzzi ha confessato il suo ottimismo sostenendo che a proposito della polmonite interstiziale bilaterale causata dal coronavirus, i medici in prima linea hanno ben presente il fatto che si tratti di un comportamento anomalo rispetto alla stessa patologia causata da malattie come i tumori o l’Aids. Ma, ed è qui la speranza, chi fra i sanitari si sta accanendo nelle cure ai malati sta cominciando a capirci qualcosa, sta cominciando cioè a omogeneizzare i comportamenti del covid 19 e così a decifrarne gli effetti. A quel punto, sapranno come intervenire.
E così ce l’avremo fatta. Una speranza che nonostante i numeri del bollettino quotidiano della Protezione civile, abbiamo testardamente avuto in tanti. Tutti, inconsciamente. Restano aperte altre domande e altri dubbi inquietanti.
Perché, ad esempio, ed è il dubbio principe, la percentuale di letalità del Coronavirus sia così alta in Lombardia e meno nelle altre regioni. Percentuale di letalità non numero dei morti. Se così fosse, sarebbe presto spiegato: a numeri di contagiati così alti in Lombardia corrisponde un numero molto più alto di decessi rispetto alle regioni in cui gli infetti sono molto meno. No, la percentuale di letalità condanna inesorabilmente, e inspiegabilmente, fino ad ora, la regione lombarda a guidare le classifiche con il 12,1% di morti fra i contagiati quando in tutta Italia lo stesso dato si ferma al 9%.
Per fare un confronto con la Cina, nella città focolaio di Wuhan la stessa percentuale si è cristallizzata al 5,8% mentre nel resto della nazione si è fermato allo 0,7. Che succede, dunque in Italia? E in particolare in Lombardia?
Si può spiegare una così alta diffusione di decessi con il fatto che alcuni significativi focolai siano partiti in ospedale. Con il fatto che l’età media dei nostri contagiati è molto più alta di quelli colpiti in Cina. Tant’è che in Italia l’83% dei decessi si registra nella popolazione più anziana.
Poco conforto evidentemente. E comunque non è un dato scientifico certo. Un’altra ipotesi è il clima. Si si, la fissazione (sicuri che lo sia?) di Greta Thunberg. Alcuni scienziati dell’Università del Maryland, negli Stati Uniti, stanno studiando la correlazione tra la diffusione del virus e le caratteristiche climatiche delle zone in cui si è manifestato. I risultati degli studi avrebbero accertato quanto meno delle singolari coincidenze: latitudine, temperatura e umidità sono il punto in comune delle vaste zone in cui il coronavirus sta scatenando i suoi effetti più devastanti. Per capirci, si parla di uno stretto corridoio geografico compreso tra i 30 e i 50 gradi di latitudine, dove le temperature medie sono tra i 5 e gli 11 gradi e l’umidità tra il 47 e il 79%. E se a questo si aggiungesse un’altra suggestione da verificare? Ovvero che il particolato presente nell’atmosfera sia un veicolo di diffusione del virus? Da verificare, capire, studiare fino ad avere certezze. Altrimenti sarebbe solo allarmismo che peraltro mette inevitabilmente in moto l’altra vergognosa macchina del negazionismo che sostiene come gli effetti dell’inquinamento non producano alcun nocumento alla nostra vita quotidiana. C’è da indagare. E da ricordare il ripasso di scienze fatto accanto ai ragazzi che in quarantena in casa stanno studiando virus e batteri.
Che c’entra? C’entra, c’entra. Perché non più tardi dello scorso gennaio, da un gruppo di studio dell’Università dell’Ohio è giunto il risultato di un’altra ricerca che merita attenzione. In due carotaggi, effettuati e prelevati nel 2015 dal ghiacciaio di Guliya, nella parte nord-occidentale dell’altopiano del Tibet, i ricercatori hanno individuato la presenza di 33 popolazioni virali risalenti a un periodo compreso fra 500 e 15.000 anni fa.
I virus individuati appartengono a 4 generi noti. Bene. Altri 28, ventotto, generi di virus individuati nelle stesse operazioni ci sono del tutto sconosciuti. Gli studiosi dell’Ohio ne hanno dedotto che lo scioglimento dei ghiacci “potrebbe portare alla perdita di questi archivi microbici e virali che possono rivelarci molto della storia del clima sulla Terra”. E questo sarebbe il lato positivo ma gli stessi ricercatori hanno avvertito anche che “nel peggiore dei casi, lo scioglimento dei ghiacci potrebbe liberare patogeni nell’ambiente”.
Patogeni sconosciuti. Come il Covid 19.
Commenta con Facebook