I carabinieri del nucleo investigativo di Messina hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di tre persone, ritenute responsabili di tentata estorsione e accesso indebito a dispositivi di comunicazione in ambito carcerario.
Il provvedimento, emesso dal gip della direzione distrettuale antimafia, ha riguardato un uomo di 39 anni e uno di 33, entrambi già detenuti presso le strutture di Palermo e Agrigento, oltre a un giovane di 24 anni che si trovava agli arresti domiciliari.
Le accuse sono pesantemente aggravate dal ricorso al metodo mafioso e dal coinvolgimento di un minorenne nell’esecuzione del piano criminale.
La richiesta di pizzo al cantiere di Fondo Fucile
I fatti risalgono allo scorso 1° dicembre e si sono consumati nel territorio di Messina, ai danni di un’impresa edile catanese impegnata nei lavori di riqualificazione dell’area degradata di Fondo Fucile e nella realizzazione di alloggi di edilizia popolare. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, l’azienda sarebbe stata bersaglio di una richiesta di denaro inizialmente fissata a 250 mila euro, poi ridotta a 100 mila euro nel corso delle interlocuzioni. L’attività estorsiva non è andata a buon fine grazie alla pronta denuncia presentata dal titolare dell’impresa, che ha permesso ai Carabinieri del Comando Provinciale di dare il via a indagini immediate e coordinate dalla DDA messinese.
Videochiamate dal carcere e minacce di esplosioni
La dinamica del tentativo di estorsione si sarebbe articolata in due momenti distinti. In una prima fase, il 24enne e un complice minorenne si sarebbero presentati fisicamente presso il cantiere per parlare con il responsabile dei lavori. Durante questo incontro, i due avrebbero avviato delle videochiamate con il 39enne e il 33enne, i quali, nonostante fossero ristretti in cella, avrebbero partecipato attivamente all’azione criminale utilizzando dispositivi di comunicazione introdotti illegalmente negli istituti di pena. Tale circostanza evidenzia la gravità della permeabilità delle strutture carcerarie, tema già al centro di recenti cronache per episodi analoghi.
Il riconoscimento dell’aggravante mafiosa
Il gip ha riconosciuto la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso basandosi su elementi precisi emersi durante l’attività investigativa. Da un lato è emersa la chiara evocazione dell’appartenenza dei due soggetti detenuti ai clan della criminalità organizzata messinese, dall’altro sono state valutate le modalità intimidatorie con cui è stata avanzata la richiesta di denaro. Gli indagati avrebbero infatti prospettato l’uso di ordigni esplosivi per far saltare il cantiere in caso di mancato pagamento. La solidità dell’impianto indiziario è inoltre supportata dai precedenti giudiziari dei soggetti coinvolti, già noti alle forze dell’ordine per fatti della stessa natura.






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