«Si decide per età, e per condizioni di salute. Come in tutte le situazioni di guerra. Non lo dico io, ma i manuali sui quali abbiamo studiato». Così, intervistato dal Corriere della Sera, Christian Salaroli, anestesista rianimatore dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, a proposito dell’emergenza coronavirus negli ospedali della Lombardia.

«In quei letti vengono ammessi solo donne e uomini con la polmonite da Covid-19, affetti da insufficienza respiratoria. Gli altri, a casa», ha spiegato il 48enne Salaroli, che poi ha aggiunto: «Li mettiamo in ventilazione non invasiva, che si chiama Niv. Il primo passo è quello».

«Questa indotta dal Covid19 è una polmonite interstiziale, una forma molto aggressiva che impatta tanto sull’ossigenazione del sangue. I pazienti più colpiti diventano ipossici, ovvero non hanno più quantità sufficienti di ossigeno nell’organismo», ha spiegato l’anestesista. E il momento di scegliere arriva «subito dopo. Siamo obbligati a farlo. Nel giro di un paio di giorni, al massimo. La ventilazione non invasiva è solo una fase di passaggio. Siccome purtroppo c’è sproporzione tra le risorse ospedaliere, i posti letto in terapia intensiva, e gli ammalati critici, non tutti vengono intubati».

Dopodiché «diventa necessario ventilarli meccanicamente. Quelli su cui si sceglie di proseguire vengono tutti intubati e pronati, ovvero messi a pancia in giù, perché questa manovra può favorire la ventilazione delle zone basse del polmone». Tuttavia, per il momento, non si tratta di un protocollo:  «Per consuetudine, anche se mi rendo conto che è una brutta parola, si valutano con molta attenzione i pazienti con gravi patologie cardiorespiratorie, e le persone con problemi gravi alle coronarie, perché tollerano male l’ipossia acuta e hanno poche probabilità di sopravvivere alla fase critica».

Ecco cosa si fa: «Se una persona tra gli 8o e i 95 anni ha una grave insufficienza respiratoria, verosimilmente non procedi. Se ha una insufficienza multi organica di più di tre organi vitali, significa che ha un tasso di mortalità del cento per cento. Ormai è andato», spiegando che «non siamo in condizione di tentare quelli che si chiamano miracoli. È la realtà».

Sull’argomento, intervistato dal Giornale Radio Rai, Alberto Zangrillo,  primario al San Raffaele di Milano, ha affermato: «Nel mio ospedale e credo in tutti gli ospedali che io conosco, tutti vengono curati nel modo migliore: gli anestesisti e i rianimatori italiani fanno i medici e curano tutti fino all’ultimo senza fare alcuna selezione ex ante. Diverso è dire che una persona anziana, probabilmente, ha meno chance a parità di terapia che viene erogata. Parlo da una terapia intensiva dove sono ricoverati pazienti gravi che stiamo curando».

«Se c’è un signore che fa l’anestesista a Bergamo che interpreta il suo ruolo come quello del rambo che si cura in base all’età e che lui fa la selezione di chi deve vivere e di chi deve morire sta descrivendo uno scenario di guerra, non risponde alla verità, se ne dovrà assumere le responsabilità non solo di fronte alla propria coscienza. Queste cose, se succedono nel suo ospedale, sono estremamente gravi», ha aggiunto.

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