In Cina, dove vivono 1,386 miliardi di persone, stando a quanto reso noto dalla Johns Hopkins Hospital, sono stati registrati fino a oggi 81.102 casi di coronavirus e 3.241 morti. La maggior parte di questi, si sa, sono avvenuti nella provincia di Hubei, dove gli abitanti sono 57 milioni (dato del 2010). In Italia, la cui popolazione è di 60,48 milioni, i casi di coronavirus sono 35713 e i decessi 2.978.

Ora, con una semplice calcolatrice è possibile ricavare la percentuale di letalità del Covid-19 (rapporto casi/vittime): circa il 4% in Cina, circa l’8% in Italia. Perché questa evidente e drammatica differenza?

Negli ultimi giorni, ascoltando i vari esperti che si sono susseguiti in televisione, sono state date diverse risposte a questo ‘enigma’. Innanzitutto, i casi di positività in Italia sarebbero molti di più rispetto a quelli al momento accertati. Almeno il doppio, se modelliamo il dato nostro a quello cinese, per cui la percentualità di letalità è inferiore rispetto all’attuale.

Poi, come ipotizzato ieri dalla virologa Ilaria Capua a Dimartedì su La7, non è esclusa la possibilità che il ceppo del coronavirus ‘lombardo’ sia più aggressivo degli altri ma, in questo caso, mancano le evidenze scientifiche. E c’è anche la questione dell’età media della popolazione: 82,54 in Italia e 76,25 in Cina. Sei anni di differenza che potrebbero aver fatto la differenza.

Certo, c’è poi il fattore delle misure per il contenimento. Si dice spesso che in Cina hanno chiuso ‘tutto’ ma in realtà non è proprio così perché il ‘lockdown ‘ (durissimo, ad esempio solo una persona per nucleo familiare in giro per la spesa e una volta ogni due giorni) è avvenuto soprattutto nella provincia di Hubei, ovvero quella più colpita, mentre il resto dell’immenso Paese ha continuato ad essere adeguatamente operativo (non provocando così un duro contraccolpo all’economia, al contrario di quanto sta avvenendo e avverrà in Italia).

Insomma, sarà l’indagine scientifica e magari una ‘tamponatura di massa’ (ma al momento non è per nulla prevista, ad eccezione del Veneto) a dare una risposta a questo interrogativo. Tuttavia, resta un fatto assodato: 2.978 morti. Questi restano tali, a prescindere dalle percentuali e dalle disquizioni sul grado di pericolosità di un virus che, fino a pochi mesi fa, non era noto all’umanità. E questo non va mai dimenticato, insieme al fatto che un vaccino continua a non esserci.

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