Il Vice Premier Luigi Di Maio rischia di passare alla storia per aver chiuso Radio Radicale. Parliamo della leggenda della più democratica diretta, libera, pluralistica delle radio, che un grande universo di professori di diritto penale ha definito fondamentale di servizio pubblico ed indispensabile di dibattito democratico. E, umilmente, sono più che d’accordo.

Nel 1976, i radicali (Marco Pannella, Maurizio Turco, Rita Bernardini, Laura Arconti e Aurelio Candido) l’hanno fondata con l’obiettivo principale di trasmettere le sedute parlamentari. Ma come ricorda oggi Emma Bonino, la radio non diffonde più solo le sedute parlamentari, svolgerebbe anche, a quanto sostiene la leader di +Europa, un “servizio pubblico di interesse generale riconosciuto dall’Agcom e dalla gran parte del mondo politico, accademico, della cultura, dell’informazione e dalla società civile”.

In ogni caso, tra qualche settimana, la storica emittente chiuderà i battenti, e oltre cento persone si ritroveranno senza lavoro. E questo, perché lo scorso anno il MoVimento Cinque Stelle ha annunciato di voler abolire il finanziamento pubblico all’editoria e di non prorogare a Radio Radicale la convenzione stipulata nel 1994 – e da allora sempre rinnovata – che ha consentito alla storica emittente di ricevere un finanziamento di 10 milioni di euro l’anno per trasmettere le sedute integrali del parlamento italiano e non solo. L’unica radio, in questi venticinque anni, a aprire i microfoni senza filtri alle due Camere.

E dire che proprio i 5 stelle, avevano il pallino di aprire come una scatola di tonno il parlamento. Dico avevano, perché fino a ora, tra gli streaming che hanno messo in soffitta, e spesso i muri invalicabili per interloquire con i pezzi da novanta del MoVimento, il taglia scatole pentastellato sembra non funzionare. Tuttavia, su Radio Radicale il M5s tira dritto. “La mia posizione non è mai cambiata – puntella il sottosegretario pentastellato con delega all’Editoria, Vito Crimi -. Questa è la posizione del governo e così rimane”.

Ma così non è, perché non tutto il governo è d’accordo a chiudere Radio Radicale, in quanto oltre alle opposizioni tutte, anche la Lega ha chiesto almeno una proroga della convenzione con emendamenti al ‘decreto Crescita’ al momento stoppati per inammissibilità. Nella sostanza, l’emendamento leghista permetterebbe all’emittente di continuare le trasmissioni fino alla fine dell’anno.

L’attività radiofonica verrebbe però finanziata con 3,5 milioni di euro anziché 5 milioni. Dopodiché, si aprirebbe una nuova gara per decidere a chi spetta trasmettere le sedute parlamentari. Al concorso dovrebbe partecipare anche Rai Parlamento. Insomma, tutto è in mano a Giggino. Ma buon senso e bene comune a volte non coincide con la politica. Come “cambiamento” non sempre significa positivi progressi. Staremo a vedere.