La banca in cui per anni aveva lavorato con l’orgoglio di chi sa di rappresentare un punto di riferimento aveva cominciato a chiudere i rubinetti, centellinando prestiti e fidi.

E lui, che da direttore di una piccola filiale di montagna aveva sempre privilegiato la conoscenza diretta e fondato ogni rapporto sulla fiducia reciproca, aveva finito per non riconoscersi più in quel sistema. «I clienti — diceva — vanno aiutati lo stesso, a costo di esporre l’istituto al rischio di rimanere scoperto».Gilberto Baschiera ci credeva veramente: interpretava la professione come una missione.

E per questo a un certo punto ha deciso di fare di testa propria, arrivando ad andare contro la legge: ha messo le mani nei conti dei correntisti più facoltosi e nella cassa che gli era stata attribuita, per distribuire denaro ai più bisognosi. Poco più di un milione di euro in sette anni.«Li avrei restituiti tutti, ne ero certo», racconta oggi.

Ma lo fa con l’amaro in bocca. Perché nel frattempo i suoi sogni di giustizia si sono infranti contro il procedimento penale con cui la procura di Udine gli ha contestato l’ipotesi alternativa di appropriazione indebita o truffa e che si è concluso con il patteggiamento di due anni di reclusione. Pena che il gup ha sospeso con la condizionale, per la collaborazione dimostrata in corso d’indagini e, soprattutto, perché di tutti quei soldi — l’inchiesta lo ha accertato — lui non intascò nemmeno un centesimo. L’unico compenso arrivava dalla gratitudine.«Ma adesso c’è chi fa finta di niente. Nessuna solidarietà, neppure da chi ho aiutato», dice Baschiera, 50 anni, con casa (sequestrata) e famiglia (quella sì, sempre a lui vicina) a Forni di Sopra, in Friuli.

Della sua vita da Robin Hood non rinnega niente, ma l’esperienza, oltre a costargli il licenziamento in tronco, ha lasciato il segno. «Dopo che la vicenda è venuta a galla — racconta a Repubblica — ho telefonato a tutti i clienti cui avevo sottratto alcune somme, per spiegare cosa mi avesse spinto. Non volevo impoverire loro a vantaggio di altri: ero sicuro che i prestiti sarebbero prima o poi rientrati.

Ma quando ho capito che non sarebbe stato possibile, era ormai troppo tardi». Tradito a sua volta dai progetti irrealizzabili prospettati in particolare da una coppia di fratelli imprenditori chiamati ora a rispondere di riciclaggio.

Era stato il suo difensore, l’avvocato udinese Roberto Mete, a ridimensionare da subito la portata delle accuse. «Lo ha fatto per aiutare correntisti in difficoltà o che non riuscivano ad accedere al credito bancario», aveva spiegato al pm Paola De Franceschi. Una «ribellione al sistema», insomma, che «abbandona pensionati con la minima e giovani senza risorse», continua Baschiera, ancorato aun’idea delle banche decisamente romantica. «Ho sempre pensato che oltre a tutelare i risparmiatori — spiega — fosse nostro compito soccorrere chi ha bisogno».

La scintilla è scattata nel 2009, di fronte all’ennesimo niet alla concessione di un prestito. «La crisi economica ha cambiato i criteri — ricorda — . Anche in una piccola cassa rurale come la mia (l’allora Bcc di Carnia e Gemonese, parte civile nel procedimento, ndr) le regole si sono fatte più stringenti. Non si decideva più sulla base di una valutazione complessiva del cliente, ma sul livello di affidabilità stabilito a tavolino, attraverso un computer». I numeri prima delle persone. «Ma il prezzo che ho pagato è troppo alto. Non credo che lo rifarei».