A una vedova non è stato concesso di avere un bambino usando il seme congelato del marito defunto a causa di un errore burocratico commesso 11 anni fa. Succede nel Regno Unito.

Jade Payne, 35 anni, del Northamptonshire, ha ora deciso di adire l’Alta Corte per avere il bambino che lei e il marito Daniel avevano sognato per tanto tempo.

Il seme, come raccontato su ITV.com, è stato congelato nel 2010 prima che l’uomo fosse curato una seconda volta per un cancro ai testicoli. La coppia, che aveva deciso di allargare la famiglia dopo il matrimonio celebrato nel giugno 2018, è stata costretta ad aspettare altro tempo perché David doveva sottoporsi alla chemioterapia. Il trattamento per la fertilità sarebbe dovuto cominciare nel settembre 2019 ma a David fu diagnosticato che il tumore al cervello, con cui conviveva da oltre un decennio, era cresciuto. Le sue condizioni sono peggiorate presto fino al decesso, avvenuto due giorni prima del Natale di quello stesso anno.

La vedova Payne ha deciso, in seguito, di essere pronta a perseguire la fecondazione in vitro, usando il seme congelato del marito, per avere un bambino ma le è stata negata questa possibilità a causa di un cavillo burocratico: l’assenza del suo nome sulla documentazione originale.

La donna, che ha dovuto raccogliere dichiarazioni da familiari, amici, medico di famiglia e alcuni assistenti del marito per appurare quale fosse la volontà del consorte, ha dichiarato: “Penso che sia disgustoso dover dimostrare qualcosa alla Corte. Era mio marito e voglio suo figlio. È qualcosa che volevamo entrambi: lo stavamo pianificando insieme e poi è morto prima che ne avessimo la possibilità”.

“Dopo tutto quello che abbiamo passato nei nostri 10 anni insieme – ha proseguito Jade – il passo successivo sarebbe stato avere un figlio nostro. Avevamo scelto il nome del bambino, parlato della scuola, della carrozzina che avremmo comprato, sapevamo esattamente quello che volevamo”.

Jade e Daniel Payne.

La donna ha raccontato che non era stato menzionato alcun problema con la documentazione quando, nel 2014, si recò per la prima volta nella clinica in cui è conservato il seme del marito. Sostiene di non essere stata a conoscenza della questione quando lei e il marito firmarono i documenti per il trattamento della fecondazione in vitro, finanziato dal Sistema Sanitario Nazionale, presso il John Radcliffe Hospital nel luglio 2019.

La vedova ha raccontato di avere persino ricevuto una telefonata nell’ottobre 2019 che le chiedeva se fosse pronta a ritirare i suoi farmaci per cominciare il trattamento per la fertilità, che rifiutò a causa delle condizioni pessime di salute del consorte.

La donna, che lavora come tata, ha detto: “Capisco la questione legale sull’assenza del mio nome sul documento originale: è qualcosa di cui Daniel pensava di essersi preso cura. Ma, nonostante ciò, io e lui abbiamo firmato entrambi i documenti ed era mio marito, quindi penso che dovrebbe prevalere il buon senso”. Ora, però, teme di dovere affrontare una battaglia legale lunga e costosa per avere la famiglia che entrambi sognavano.