‘Nell’anno della misericordia io chiedo perdono a Dio, non agli uomini o alla giustizia’. E’ la sostanza di uno dei passaggi della lettera con la quale Domenico Pace, killer del giudice Rosario Livatino, ha scritto al Papa chiedendo perdono per il suo gesto criminale di quasi 26 anni fa.

Dal carcere di Sulmona, dove sta scontando l’ergastolo, l’ex pastore di Palma di Montechiaro nell’anno della misericordia chiede perdono a Dio.

Nella lettera l’uomo racconta il suo percorso di conversione da quel giorno di settembre del 1990 quando, su ordine della Stidda, accettò di far parte del commando che assassinò, con sei colpi d’arma da fuoco, il magistrato di Canicattì in un agguato compiuto sulla statale che porta ad Agrigento.

Un delitto eclatante nei confronti del giudice senza scorta per uccidere il quale fu esploso anche un ultimo colpo di grazia a bruciapelo.

“Lui, Livatino, mi tiene compagnia, non mi lascia solo” scrive Pace nella sua lettera a Papa Francesco. La lettera è stata inviata anche al sacerdote Giuseppe Livatino, arciprete di Raffadali, che segue il processo di beatificazione del giudice assassinato.

Pace rivolge il suo pensiero anche ai familiari del ‘giudice ragazzino’ che ha assassinato “Quando erano in vita – scrive – ho pensato tante volte di chiedere loro perdono, ma non sono riuscito a farlo. Oggi ho pensato al passato, confrontandomi con me stesso e guardandomi dentro. Mi sono odiato, è stato insopportabile, ma non ho evitato di confrontarmi con me stesso. Mi sono guardato dentro con la lente d’ingrandimento per cercare tutti i chiaroscuri del mio animo. Ho provato dolore, tanto dolore, poi, inaspettatamente, ho provato un poco di serenità. È accaduto – scrive Pace – quando il bene e il male che prima dentro di me si mischiavano, pian piano si sono distinti e chiariti. Mi sono sentito meglio. Mi sono così liberato dal peso più grande della mia esistenza. Vi chiedo perdono in ginocchio e strisciando ai vostri piedi. Se lo farete, vi guarderò con gli occhi pieni di gratitudine perché mi avrete liberato dal resto del peso”.

Il nome di Livatino oggi campeggia fra i nomi dei magistrati vittime del loro dovere fra i gradini della piazzetta al centro della cittadella della giustizia di Palermo