Due giorni fa, lunedì 18 ottobre, all’età di 77 anni, è morto Angelo Licheri, l’uomo che nel giugno 1981 si calò nel pozzo di Vermicino per tentare di salvare Alfredino Rampi, il piccolo di 6 anni che è poi deceduto. Fu uno dei casi mediatici più rilevanti della storia italiana.

Angelo Licheri si è spento in una casa di riposo di Nettuno (Roma) dove era ricoverato da otto anni, costretto in sedia a rotella e quasi cieco per via del diabete. Licheri, un giovane volontario sardo di corporatura minuta, scese a testa in giù per salvare il bimbo, precipitato in un pozzo artesiano.

L’Uomo ragno, com’era stato battezzato, riuscì a parlare con il piccolo e restò nel pozzo per 45 minuti – con il rischio concreto di ripercussioni anche gravi sulla sua salute – ma senza riuscire ad estrarlo.

Il Centro Alfredo Rampi, l’associazione nata nel 1981 in seguito alla tragedia, su Facebook l’ha salutato così: «Oggi è un giorno di lutto, grande commozione e memoria per tutti noi. Nel dare la triste notizia della morte di Angelo Licheri, ricordiamo il valore, il coraggio, la tenacia e anche la simpatia del piccolo grande eroe, prototipo del volontario disposto ad andare ‘più in là”. “Non sono frasi retoriche – ha concluso l’associazione – non si addirebbero alla schiettezza ed umiltà di Angelo, ma nascono dalla conoscenza dell’uomo e dalla profonda gratitudine nei suoi confronti».

LA VICENDA

Licheri si recò a Vermicino dopo avere appreso la notizia, come tutti, dalle dirette dei telegiornali: decise che non poteva continuare la sua vita di marito e padre e di autista per una tipografia senza tentare di salvare un bambino di sei anni: «Cercavano uno piccolo, e allora sono andato», raccontò un giorno.

Licheri si offrì volontario perché i soccorsi erano in cerca di uomini esili e coraggiosi così da essere calati all’interno del pozzo lungo e stretto – e più giù si andava, più stretto diventava.

Il pozzo, infatti, era largo 28 centimetri: Angelo non era uno speleologo ma era minuto a sufficienza. Fu calato a testa in giù la notte tra il 12 e il 13 giugno, 54 ore dopo che il bimbo era precipitato. Angelo, però, al contrario dei 20 massimi consentiti dagli esperti, rimase calato per 45, scendendo per 60 metri. Addirittura, chiese di essere usato come un ariete per colpire con la testa le pietre che gli impedivano di avvicinarsi ad Alfredino.

Angelo riuscì a toccare il volto del bimbo pulendolo dal fango, cercò più volte di assicurarlo alle corde, imbracarlo ma “c’era il fango e scivolava”: “Sentivo che respirava, gli ho detto che se riuscivo a tirarlo fuori lo portavo con me in Sardegna”. Alfredino, però, morì il 13 giugno. Angelo Licheri partecipò ai funerali del piccoli, in prima fila, portando la bara ed ebbe anche un mancamento.

L’OMELIA DEI FUNERALI

Don Giuseppe, alla funzione di addio di Angelo Licheri, riportata su IlCaffe.tv, ha affermato: “Angelo si è ritrovato con il suo amico Alfredino. Il nostro Angelo, anzi lo abbiamo conosciuto tutti come ‘l’angelo del Vermicino’, è stato in vita un uomo sempre molto altruista. Nella tragedia ha sentito la spinta di andare in quel pozzo per salvare un’anima, il nostro compito, la responsabilità di ognuno di noi. Nonostante non fosse ciò che desiderava, ha avuto una spinta in più che lo ha reso un eroe”.

E ancora: “Ha cercato di salvare questo bambino e, ora, si trovano di nuovo. Alfredino lo chiama: ‘adesso ti voglio affianco a me, ora ti riconosco’; Ora Angelo potrà stringerlo come non è riuscito prima”.

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